1. Introduzione
2. Il sacerdote e gli altri ministri del culto
Ἀπολλώνιος
καὶ οἱ συμβαλόμενοι
τῶν θεραπευτῶν
Νίκει.
Nel Sarapieion B di Delo, nel secondo secolo a.C., è attestato un κοινὸν τῶν θεραπευτῶν; [8] molto più numerose sono le ricorrenze di θεραπευταί nel Sarapieion C. [9] Il termine indica i fedeli riuniti in un’associazione di natura privata e non ha alcun tipo di legame con il fenomeno delle guarigioni, come invece nel culto di Asclepio: nelle iscrizioni citate, essi offrono doni e contribuiscono a sacrifici e libagioni. Inoltre, quando viene utilizzato il termine κοινόν, esso non indica necessariamente un gruppo organizzato con uno statuto ben preciso. [10] Le associazioni di θεραπευταί nel culto di Sarapide sono attestate anche a Maronea (RICIS 114/0203; RICIS 114/0201; RICISSup I 114/0210), a Cizico (RICIS 301/0401; RICIS 301/0402) e a Magnesia sul Sipilo (RICIS 303/0301–0302). I θεραπευταί sono conosciuti anche nel Sarapieion di Menfi nel secondo secolo a.C. (UPZ 1:8).
3. Il sogno oracolare e l’origine del culto
4. Gli epiteti di Sarapide
5. Gli arredi cultuali
βωμοὶ καὶ τέμενος, τετέλεστο δὲ πάντα μελάθρωι
ἕδρανά τε κλισμοί τε θεοκλήτους ἐπὶ δαῖτας.
Stando a Englemann (1975:42), i θυόεντες βωμοί farebbero riferimento all’uso di bruciare profumi, molto comune nei culti delle divinità egizie. Hellmann (1992:78), sottolineando che la distinzione tra βωμός e θυμιατήριον spesso non sia così netta, ritiene che possa trattarsi di θυμιατήρια con l’aspetto di piccoli altari, come quelli rinvenuti nel Sarapieion B di Delo.
[τιώτ]ης χώρτης αʹ Λυ<σι>τα-
[νῶν] (ἑκατονταρχίας) Σερήνου ἐν ὀνίροις
[τοῦ κ]υρίου Σεράπιδος
[καὶ ε]ὐχαριστήσας ἐποίησα
[. . . . .] ἐπ’ ἀγαθῷ.
6. Il prodigio di Serapide e le tabellae defixionum
οἵ ῥα δίκην̣ πόρσυνον, ἐνὶ γναθμοῖς ὑπανύσσας
γλῶσσαν ἀναύδητον τῆς οὔτ’ ὄπιν ἔκλεεν οὐθεὶς
οὔτε γ<ρ>άμμα δίκης ἐπιτάρροθον· ἀλλ’ ἄρα θείως
στεῦντο θεοπληγέσσιν ἐοικότας εἰδώλοισιν
ἔμμεναι ἢ λάεσσιν
L’uso del verbo ἐπιδεῖν richiama il linguaggio delle tabellae defixionum, in cui il verbo καταδεῖν è frequentemente utilizzato per esprimere l’intenzione di immobilizzare la parte del corpo in questione e, di conseguenza, impedire all’avversario di compiere una determinata azione. Spesso nelle tabellae di ambito giudiziario si chiede alle divinità ctonie di bloccare la mente, la lingua e l’anima della parte avversa, in quanto ritenute necessarie per poter pronunciare il discorso in tribunale.
καὶ ὅσοι σύνδικοι κ-
αὶ Τελεσῖνο<ν> τ[ὸ]ν Ἰδιώτο(υ) καὶ τὴν ψυχὴν κατ-
αδῶ Ἰδι<ώ>το(υ), γλῶτταν κα[ὶ] αὐτόν : μετ’ Ε-
ὐαράτο(υ) σ<υ>νπράττωσι καὶ ὅσοι ἂν σ-
<ύ>νδικος μετ’ Εὐαράτο(υ) καὶ το(ὺ)ς Εὐ-
αράτο(υ) καὶ τὴν ψυχὴν καὶ γλῶτ-
ταν.
È ormai opinione comune che le defixiones iudiciariae siano state compilate anteriormente al processo con l’intenzione di impedire al teste di effettuare la propria deposizione. Le circostanze dei processi in questi testi spesso non sono chiare ma sembra abbastanza evidente che la defixio sia commissionata da chi si sente minacciato dall’esito del procedimento giudiziario e ricorra pertanto a mezzi sovrannaturali per ottenere una conclusione favorevole. [20]
ὅπερ ποτὲ φεύγων ἔπαθε καὶ Θουκυδίδης·
ἀπόπληκτος ἐξαίφνης ἐγένετο τὰς γνάθους.
Gli scholia vetera ad Aristofane (p. 151 Koster) spiegano che il riferimento sarebbe a un processo subito da Tucidide di Melesia, il quale non riuscì a pronunciare il suo discorso di difesa come se avesse la lingua legata.