Kraton di Calcedonia e gli Attalidi


Filomena Angellotti, Riccardo Biagiucci, Jorge Cocquyt, Sophia De Gaetano, Giada Di Giuseppe, Salvatore Luigi Guglielmino, Sara Mancini, Giulia Nafissi, Giulia Nardone, Elisabetta Pinto, Rossano Ricciutelli, Lavinia Tutino
In età ellenistica, Pergamo divenne una delle capitali più importanti grazie alla dinastia degli Attalidi. Nuovi impulsi letterari e artistici confluirono nella città microasiatica e si svilupparono su uno sfondo di tradizione greca che poneva al centro l’importanza della vita politico-culturale, sul modello di Atene, ma parallelamente rivolta al mondo romano che avanzava. Oltre ad avere arrestato l’espansione dei Galati verso est, i sovrani pergameni sono ricordati anche come artefici di grandiose realizzazioni architettoniche e urbanistiche nei cui cantieri si sviluppò una fiorente scuola di scultura. [1] Presso gli Attalidi confluirono una moltitudine di artisti e poeti, che viaggiavano tra la Grecia, l’Egeo e l’Asia minore, organizzati in confederazioni artistiche oppure operanti individualmente. I sovrani che si avvicendarono si fecero promotori di una vera e propria “industria dello spettacolo”, [2] così da servirsi dei virtuosi soprattutto per fini propagandistici. È per questo che, per garantire loro migliori condizioni di azione, personalità come Eumene II e altri prima di lui concessero agli artisti grandi privilegi. I rapporti tra gli Attalidi e l’associazione dei technitai di Ionia e di Ellesponto furono molto stretti e sono variamente documentati. Un personaggio spicca per la posizione prominente all’interno della corporazione ionica e per le positive relazioni che seppe intrattenere con i sovrani.
Kraton, figlio di Zotico, originario della città di Calcedonia in Bitinia, è tra i technitai più documentati dalle fonti epigrafiche. [3] Incerta è la data di nascita del nostro personaggio: sappiamo con certezza che entrò a far parte dei technitai di Dioniso non prima del 193/192 a.C., mentre la data di morte oscilla tra il 146 e il 133 a.C. Kraton era di professione un auleta ciclico, figura che aveva il compito di organizzare una formazione d’insieme e molto spesso ricopriva il ruolo di direttore del coro. Nell’associazione artistica, Kraton ricoprì degli incarichi di rilievo, tra cui il ruolo di agonoteta (organizzatore dei giochi) e quello di sacerdote di Dioniso. L’associazione gli rese costantemente omaggio a seguito delle numerose azioni svolte a suo vantaggio.
Benché la data di nascita e di morte rimangano ancora incerte, un corpus epigrafico di nove documenti costituisce per noi una fonte preziosissima per conoscere alcuni fatti della sua vita e della sua carriera. Kraton fu un artista o, più precisamente, un auleta ciclico [Appendix epigraphica 2.1 C, 2–3; 2.2, 6], attivo nel II secolo a.C. in diverse città del mondo greco, in particolare Teo, Pergamo e Delo, e fu membro di spicco del koinon dei technitai dionisiaci dell’Asia Minore. Dalla documentazione epigrafica apprendiamo inoltre che ottenne la cittadinanza pergamena, intrattenne stretti rapporti con la monarchia degli Attalidi e fu egli stesso fondatore di una società di artisti, che le fonti ricordano con il nome di Attalista.

– Filomena Angellotti, Giada Di Giuseppe, Giulia Nafissi, Elisabetta Pinto

Tra Pergamo e Roma

Molte delle testimonianze epigrafiche che riguardano il technites Kraton possono essere contestualizzate nel quadro storico-culturale dell’area egea e microasiatica di II secolo a.C. In particolare, nel decreto onorario emanato dai technitai ionici per Kraton di Calcedonia nel 170 a.C. ca., si possono ravvisare dettagli interessanti riguardo al rapporto tra la corporazione ionico-ellespontina e la corte del re Eumene II. [Appendix epigraphica 2.2]
La dinastia degli Attalidi nacque con Filetero (282–262 a.C.) con il quale venne istituito il principato; a lui succedette Eumene I col quale si giunse a un consolidamento del regno a seguito della sconfitta di Antioco I nel 261 a.C. a Sardi. A quest’ultimo succedette Attalo I, nel 241 o nel 240 a.C., [4] che intorno al 230 a.C. sconfisse i Galati e rafforzò il regno attalide. La minaccia dell’egemonia macedone ad opera di Filippo V spinse inoltre Attalo I ad allearsi con gli Etoli e quindi con i Romani (214 a.C.), arrivando così a sostenere la loro azione antimacedone. Nel 197 a.C. salì al trono Attalo II che, oltre alle campagne contro Prusia di Bitinia e Farnace del Ponto, riprese l’azione militare contro i Galati (189 a.C.). La pace di Apamea(188 a.C.) segnò un nuovo assetto dell’Asia Minore, che favorì i nuovi alleati di Roma. Pergamo ottenne tutti i territori a nord-ovest della catena montuosa del Tauro e a nord del Meandro; Rodi invece allargò la sua Perea a Caria e Licia. Roma non esercitava ancora il potere in maniera diretta con annessioni territoriali nell’area egea, con ma iniziava a stabilire l’assetto politico generale, con una strategia che di lì a poco sfociò nell’annessione della penisola greca dopo la distruzione di Corinto nel 146 a.C. Eumene II, re di Pergamo dal 197 al 159/158 a.C., seguì le orme del padre Attalo I collaborando con i Romani, opponendosi prima ai Macedoni e dunque all’espansione dei Seleucidi verso l’Egeo, contribuendo alla sconfitta di Antioco il Grande. Precedentemente, nel 195 a.C., aveva partecipato alla guerra laconica, assieme ai Romani, combattuta tra Sparta e una coalizione composta da Repubblica romana, Lega achea, regno di Macedonia, Rodi e regno di Pergamo.
Dopo la pace di Apamea, Eumene II ricevette le regioni di Frigia, Lidia, Pisidia, Panfilia e parte della Licia dagli alleati romani, poiché questi non avevano alcun effettivo interesse ad amministrare il territorio nell’Oriente ellenistico, bensì intendevano creare un forte stato in Asia Minore che fungesse da baluardo contro ogni possibile futura espansione seleucide (Fig. 1). In questo panorama storico si colloca lo scontro tra Eumene e il re di Bitinia Prusia e i suoi alleati Galati con il coinvolgimento del Senato romano (186–183 a.C.; cfr. Polibio 22.21). Eumene commemorò la vittoria sui Galati nella grande ara che fece erigere per i Nikephoria. La sua intraprendenza militare si rivolse anche contro il re del Ponto Farnace, il quale aveva preso Sinope e la Cappadocia. Anche questa guerra (182–179 a.C.) fu favorevole ad Eumene. Quando Perseo salì al trono di Macedonia (179 a.C.) tentò di rilanciare il prestigio del regno, ripristinando le vecchie alleanze con Achei, Seleucidi e Rodi; Eumene fece una descrizione dell’avversario al Senato in cui sottolineò le risorse e la vitalità demografica, in preparazione dello scontro con Roma: [5] seppur in chiave deformante, il discorso del re illustra il prestigio e la popolarità dell’avversario che avrebbe fatto leva soprattutto sul disagio sociale dei diseredati, a danno dei cittadini benestanti. Perseo aveva sposato la figlia di Seleuco IV, Laodice (179/178 a.C.), e aveva dato in sposa a Prusia di Bitinia sua figlia Apame. Il quadro di alleanze matrimoniali preoccupava non poco Eumene il quale inviò prontamente ambasciatori a Roma per convincere il popolo romano ad intervenire. I Romani furono inizialmente restii a intraprendere una nuova guerra. Unici a mantenere una posizione antimacedone in Grecia, gli Achei con a capo il filoromano Callicrate. In seguito, di ritorno dall’ambasceria a Roma, un attentatore aveva cercato senza successo di uccidere Eumene, attentato che venne imputato a Perseo; a quel punto Roma intervenne militarmente in Macedonia. La terza guerra macedonica (171–168 a.C.) si concluse con la battaglia di Pidna seguita dalla caduta del regno di Macedonia. Il 168 a.C. è un anno di svolta per Roma in quanto la città uscì vittoriosa nella decisiva battaglia di Pidna con a capo il console Lucio Emilio Paolo; una volta garantita la fedeltà di città e leghe attraverso il sostegno alle parti filoromane, la potenza egemone non necessitava più di alleati. Il regno attalide venne assalito da una violenta insurrezione dei Galati all’indomani di Pidna, [6] che Eumene riuscì a fronteggiare, anche se Roma gli dimostrò freddezza per il presunto atteggiamento attendista nei confronti della Macedonia: al sovrano non fu permesso di giungere a Roma per le celebrazioni della vittoria di Pidna, mentre il Senato accolse benevolmente Prusia. In seguito Roma restituì ai Galati le conquiste di Eumene, che morì nel 159/158 a.C. Il figlio avuto da Stratonice, figlia del re Ariarate IV di Cappadocia, Attalo III (138–133 a.C.), non ereditò subito il regno poiché ancora in minore età. A Eumene succedette il fratello Attalo II (158–138 a.C.) il quale non aveva voluto tradirlo per assecondare i piani dei gruppi di potere romani. Il nuovo successore al regno seguì la scia politica del fratello, sia dal punto di vista della promozione della cultura e la ricerca di prestigio, sia per l’espansione e il consolidamento territoriali. Attalo III, invece, di cui le fonti parlano in maniera contrastante, lasciò il regno in eredità a Roma, che dovette reprimere la ribellione di Aristonico (il quale si era proclamato re col nome di Eumene); solo dopo la sua morte, grazie alla campagna vittoriosa di Manio Aquilio, la potenza mediterranea procedette a organizzare la provincia d’Asia (129 a.C.).

– Sara Mancini

Fig. 1: La Grecia e l’area asiatica nel periodo della guerra romano-siriaca (da https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Aegean_Sea_192_BC.png).

I rapporti fra technitai e sovrani ellenistici: Kraton ed Eumene II

In età ellenistica abbiamo diverse testimonianze delle associazioni (koina) di technitai, artisti riuniti attorno al culto di Dioniso che prendevano parte a rappresentazioni teatrali, gare, processioni e molti altri eventi della vita cittadina greca. Questi professionisti delle arti performative erano attori, membri del coro, insegnanti, ballerini, cantanti, musicisti, ma potevano operare anche in contesti non esclusivamente artistici con funzioni organizzative e diplomatiche.
Ci si è chiesto in che misura questi artisti abbiano influenzato la cultura e la società in cui vivevano. In molti casi le gilde avevano regole e usanze proprie e godevano di una propria libertà ed autonomia comparabili, in alcuni casi, a quelle delle città poste sotto la protezione di un sovrano. Esse beneficiavano di diversi privilegi, costantemente rivendicati e rinnovati, e disponevano di fatto di beni fondiari e immobiliari.
Grazie alle testimonianze epigrafiche è stato possibile identificare alcune gilde maggiori: quella Ateniese (forse la prima), quella dell’Istmo e di Nemea, quella dell’Egitto e di Cipro, e infine il koinon degli Ioni e dell’Ellesponto.
Ciò che probabilmente garantì il successo e la diffusione di queste associazioni fu il consenso popolare e la capacità di rendersi portavoce di una serie di costumi in grado di unire un popolo ormai sempre più diviso e volto all’individualismo. In un contesto simile, le manifestazioni artistiche sembrano aver avuto la capacità di armonizzare esigenze varie e spesso contrastanti fra loro; non è dunque difficile immaginare il motivo per il quale spesso questi technitai si trovassero a divenire dei veri e propri ambasciatori presso le corti dei sovrani ellenistici, creando nuove soluzioni in grado di definire adeguatamente lo spazio del sovrano ellenistico e divenendo dunque un mezzo fondamentale per la comunicazione tra il sovrano e le diverse componenti della società. Per queste associazioni la pratica dell’arte per l’arte non fu mai esclusiva. Attraverso l’arte erano infatti in grado di esercitare la propria influenza e garantirsi non solo l’integrazione nelle corti ellenistiche ma anche una certa indipendenza. Si potrebbe quasi dire che tra sovrani e technitai vi fosse un riconoscimento reciproco.
Nel decreto onorario per Kraton rinvenuto a Delo, i technitai della Ionia e dell’Ellesponto [7] e quelli di Dioniso kathegemon omaggiarono l’artista attraverso una serie di onori e privilegi concessi in virtù della sua benevolenza e del suo operato nei confronti del koinon stesso. Siamo a conoscenza del fatto che la gilda ionica era ben integrata all’interno della città di Teo, godeva di autonomia economica ed amministrativa e i sovrani ne avevano particolare riguardo. In un decreto, i technitai dionisiaci sono inviati a banchettare con i magistrati della città durante le nuove feste istituite in onore del re Antioco III e di sua moglie Laodice: essi sono espressamente distinti dal resto dei cittadini di Teo e considerati come “ospiti illustri”. [8] Il fatto che il re stesso ebbe l’accortezza di distinguere i technitai dal resto del popolo dimostra la considerazione del sovrano per la corporazione e l’influenza che essa esercitava nella compagine cittadina.
Nel decreto di Delo, gli onori per Kraton vengono elargiti non solo dai technitai della Ionia e dell’Ellesponto ma anche dal koinon di Dioniso katheghemon. A seguito della pace di Apamea del 188 a.C., l’Asia Minore era passata nuovamente in mano alla dinastia degli Attalidi per volere dei Romani: Teo venne assimilata al regno di Pergamo e l’associazione dei technitai cominciò ad avere due sedi, quella originale di Teo e quella di Pergamo, capitale del regno. Dioniso katheghemon, che aveva un ruolo predominante nella configurazione del regno attalide come divinità civilizzatrice, diventò il protettore del distaccamento pergameno della gilda di Ionia e di Ellesponto.
È proprio all’interno di questo nuovo assetto che si può ricostruire l’ascesa di Kraton, come auleta ma soprattutto come risorsa politico-culturale per la dinastia Attalide. Nel decreto di Delo, Kraton ha agito benevolmente non solo verso il koinon ma anche verso il suo sovrano, Eumene II.
Kraton ha avuto un ruolo determinante anche nell’ambito di un’altra associazione, quella degli Attalistai, di cui fu il fondatore. Già nella sua denominazione questo koinon era volto alla glorificazione e alla celebrazione della monarchia pergamena. La creazione di tale gilda da parte di Kraton viene ricordata in una sua lettera datata al 153/152 di cui si conserva solo il prescritto. [9] Il rapporto tra Kraton, i sovrani e la corporazione da lui fondata, si evince anche dal decreto onorario votato dagli Attalistai dopo la morte di Kraton, dal quale si apprende che l’auleta lasciò in eredità i suoi possessi all’associazione.
Prendendo come modello l’esperienza di Kraton, è possibile comprendere come gli artisti e le loro associazioni fossero parte integrante della società greca nel periodo ellenistico e delle vicende politiche. Sarebbe infatti un errore separare le due sfere di azione. L’apprezzamento per l’arte poteva divenire un mezzo di propaganda per consolidare e far penetrare la nuova ideologia monarchica in una società fortemente legata alla propria autonomia e libertà d’azione.

– Giulia Nardone

I technitai e i privilegi di asylia e asphaleia

Nel dossier epigrafico relativo a Kraton, il decreto onorario votato in suo onore dai technitai dionisiaci di Ionia ed Ellesponto e da quelli di Dioniso kathegemon è collocato subito prima di quello dei synagonistai, generalmente datato tra il 180 e il 170 a.C. [Appendix epigraphica 2.1 A-B]. Quando viene emesso il decreto dei synagonistai, Kraton ha già ricoperto la funzione di sacerdote e si trova ora a esercitare l’agonotesia. Nel decreto rinvenuto a Delo, invece [Appendix epigraphica 2.2], l’auleta ha ricoperto queste due cariche nel passato (6–7) e si trova ora a esercitarle per la seconda volta e congiuntamente nello stesso anno (9). Inoltre, il decreto è certamente anteriore al 166 a.C., poiché in chiusura del testo si rivolge al popolo delio, ancora indipendente da Atene. [10]
Il decreto di Delo, dopo il consueto verbo di sanzione, si apre con la clausola di motivazione, in cui si ricordano i meriti del personaggio onorato: dopo la menzione del ruolo di agonoteta e della funzione di sacerdote che Kraton si trova a rivestire congiuntamente, vengono esaltati la devozione, la munificenza e la prodigalità da lui dimostrate in più occasioni per onorare gli dei e i sovrani in modo degno dei technitai. Nella seconda parte del testo, dopo la consueta formula di buon augurio e l’abituale frase esortativa in cui si pone in evidenza lo zelo dei proponenti, vengono elencati gli onori conferiti all’artista. Le due associazioni decretano che Kraton venga incoronato ogni anno nel teatro di Dioniso nel giorno in cui si svolge la festa del koinon dei technitai dionisiaci e ogni volta che la città di Teo celebra le Dionisie o qualche altro agone; che vengano realizzate tre statue in suo onore da collocare rispettivamente nel teatro di Teo, a Delo e nel luogo scelto da Kraton stesso, a eterno ricordo dei suoi meriti verso gli dei, i sovrani e i technitai e della riconoscenza per i benefici che Kraton ha reso e continua a rendere alle due associazioni di artisti.
Dopo aver ricordato i meriti di Kraton, il decreto delio esalta lo statuto sacro e divino dei technitai [Appendix epigraphica 2.2, 16–21]: risultando i più pii tra tutti i Greci, gli artisti ricevono onori dagli dei, dai sovrani e dagli altri Greci, nella forma dei privilegi importanti che sono stati loro riconosciuti su indicazione del dio Apollo. L’asylia e l’asphaleia vengono dunque loro concesse conformemente ai vaticini del dio, gli stessi vaticini per cui gli artisti partecipano agli agoni celebrati in onore degli dei. Un’analoga considerazione sullo statuto divino dei technitai, in riferimento ad alcuni privilegi di cui essi godono per volontà del dio, è espressa da Diodoro Siculo (4.5.4–5); lo storico riconduce l’ateleia dei technitai al precedente delle concessioni fatte da Dioniso stesso a quanti erano in possesso dell’arte delle Muse. Non sono dunque i privilegi di asylia e asphaleia a elevare i technitai a una condizione superiore e legittima, ma è in virtù del loro statuto divino che a essi vengono concessi questi privilegi.
Con il termine asylia (da syle, diritto di sequestro, con alpha privativo) si indica l’immunità rispetto ad azioni di ritorsione rivolte contro persone fisiche o beni per torti precedentemente commessi dalla comunità di appartenenza. Attestato fin dai tempi di Omero (Iliade 11.670–761), il concetto di asylia sembra essere in origine legato a uno spazio religioso, a un santuario: in Grecia infatti, diversamente da quanto avveniva nel mondo romano e egizio, i santuari erano considerati inviolabili e non di rado costituivano un luogo di rifugio, di asilo appunto, per chiunque lo richiedesse. Dall’epoca ellenistica, si riscontra nelle fonti da un lato la tendenza sempre più frequente degli stati a dichiarare spazi in altri stati “sacri e inviolabili” in onore di qualche divinità, dall’altro un’estensione del significato del termine, usato anche per indicare la protezione contro gli attacchi della pirateria. A partire dal III secolo a.C., inoltre, l’asylia inizia a essere concessa sempre più frequentemente non solo a santuari, città e territori, ma anche a individui, singolarmente e collettivamente. [11]
Nel caso dei technitai la documentazione è particolarmente ricca: dalle fonti epigrafiche si evince chiaramente che l’asylia e l’asphaleia erano due tra i più importanti e più ricorrenti privilegi che venivano concessi e, se necessario, confermati ai technitai. L’asylia (la sicurezza in tempo di pace) e l’asphaleia (termine derivato dal lessico militare e dunque riferito più propriamente alla sicurezza in tempo di guerra) [12] proteggevano dunque lo straniero nei suoi viaggi da ogni tipo di aggressione e confisca e gli consentivano di spostarsi liberamente da una città all’altra. La possibilità di viaggiare in tranquillità e sicurezza era una condizione indispensabile affinché i technitai potessero recarsi di città in città e contribuire con la propria arte alla celebrazione delle grandi festività in onore degli dei che si svolgevano in varie poleis del mondo greco. Lo dimostra un documento epigrafico, datato tra il 294 e il 288 a.C., che ricorda l’accordo concluso tra quattro città dell’Eubea circa la concessione dell’immunità e della sicurezza ai technitai dionisiaci in occasione della celebrazione dei Dionysia e dei Demetrieia (IGXII 9, 207 e p. 176 addenda di Wilamowitz = Le Guen2001 1:n° 1). L’asylia e l’asphaleia potevano essere concesse ai technitai insieme ad altri privilegi, quali l’ateleia e l’esenzione dal servizio militare (cui fa riferimento Diodoro Siculo nel passo sopra citato), da diverse autorità, come sovrani ellenistici e magistrati romani, l’Anfizionia delfica, koina e singole poleis. [13]
Si esaminano ora le testimonianze epigrafiche relative alla concessione dei privilegi di asylia e asphaleia ai technitai e ai vari koina di artisti per comprendere le motivazioni e le circostanze in cui ciò avveniva. I documenti relativi ai technitai di Ionia e Ellesponto servono anche a chiarire il significato delle linee 16–21 del decreto delio per Kraton [Appendix epigraphica 2.2], e, in particolare, il ricordo delle precedenti concessioni di questi due privilegi (δεδωκότες).
Un primo dossier di testi epigrafici relativi alla concessione dell’asylia e dell’asphaleia ai technitai dionisiaci è quello cui fa capo il decreto emanato dagli Anfizioni in onore dei technitai di Atene nel 279/278 a.C. Gli Anfizioni concessero loro l’asylia, l’asphaleia, l’ateleia, l’eisphora e l’esenzione dal servizio militare affinché gli artisti fossero messi nelle condizioni di poter svolgere al meglio la loro arte e onorare debitamente gli dei. [14] A questo documento fanno esplicito riferimento altre importanti testimonianze epigrafiche, a cominciare dal decreto emanato poco prima del 130 a.C. dagli stessi technitai di Atene in onore di Ariarate V di Cappadocia e della moglie Nysa, nel quale il koinon chiede che il re riconosca agli artisti i privilegi precedentemente loro concessi dagli Anfizioni in cambio dei benefici e degli onori resi dai technitai a lui e alla sua consorte. [15] Un ulteriore richiamo degli stessi privilegi concessi ai technitai di Atene nel 279/278 proviene da un decreto degli Ateniesi: l’iscrizione fa parte di un corpus di documenti databili tra il 138 e il 112 a.C. relativi a una controversia sorta tra i technitai di Atene e quelli dell’Istmo e di Nemea. [16] Dall’analisi della documentazione epigrafica emergono però anche casi in cui i privilegi di asylia e asphaleia concessi ai technitai non vengono semplicemente ricordati nel testo del decreto, ma sono esplicitamente riconfermati: uno di questi è attestato dal decreto, emanato tra il 134 e il 130 a.C., in cui gli Anfizioni confermano i privilegi concessi ai technitai nel 279/278 a.C. [17] Sebbene il testo del decreto non espliciti il motivo di questa conferma, forse essa si spiega in relazione ai coevi fatti geopolitici, che vedevano nella recente istituzione delle province romane dell’Acaia e della Macedonia un’ulteriore espansione di Roma.
Non fu solo il koinon dei technitai dionisiaci di Atene a ricevere e a vedersi più volte riconfermati nel corso del tempo i privilegi di asylia e asphaleia. Nel 228 a.C. gli Anfizioni concessero l’asylia al santuario di Dioniso Cadmeo e contestualmente l’immunità e la sicurezza ai technitai dell’Istmo e di Nemea che avrebbero preso parte agli Agrionia di Tebe per consentire il miglior svolgimento possibile dei sacrifici e degli agoni. [18] L’importanza della partecipazione dei technitai alle grandi feste celebrate nel mondo greco è ricordata da un altro testo epigrafico, un decreto votato dai cittadini di Delfi in onore dei technitai dionisiaci di Atene nel 98/97 a.C., in cui gli artisti vengono ringraziati per aver contribuito con la loro arte alla celebrazione della quarta Pythais. [19]
La prima testimonianza relativa alla concessione dei privilegi di immunità e sicurezza ai technitai di Ionia e di Ellesponto proviene invece da un decreto emanato dagli Etoli nel 237/236 a.C. Si tratta di un documento per noi preziosissimo, in quanto costituisce la prima attestazione epigrafica di questo koinon, la cui istituzione viene generalmente datata entro la prima metà del III secolo a.C. Gli Etoli decidono di concedere ai technitai di Ionia e Ellesponto i privilegi di asylia e asphaleia proprio come avevano fatto con i technitai dell’Istmo e di Nemea. [20] Fu probabilmente in questi stessi anni che anche gli Anfizioni e i cittadini di Delfi concessero ai technitai di Ionia e Ellesponto i privilegi di asylia e asphaleia. [21] Una conferma indiretta di queste concessioni è fornita da una serie di decreti votati alla fine del III a.C. dagli Etoli, dagli Anfizioni e dai cittadini di Delfi in risposta alla richiesta avanzata dai Tei di concedere alla propria città e al proprio territorio gli stessi privilegi di asylia e di asphaleia di cui già godevano i technitai. [22] Questi decreti sembrano documentare l’importanza che i technitai rivestivano per la città di Teo e, in effetti, alcune testimonianze epigrafiche paiono documentare rapporti positivi e di reciproca benevolenza tra i Tei e i technitai. [23] Altre testimonianze, epigrafiche e letterarie fanno invece emergere tensioni tra la comunità cittadina e gli artisti. In una lettera anteriore al 158 a.C. il re Eumene II, rivolgendosi ora ai cittadini di Teo ora ai technitai stabilitisi in città, li invita a risolvere l’antica controversia da tempo in atto circa l’organizzazione delle feste a Teo. [24] Nonostante l’intervento del re, Strabone informa che la contesa non si sanò e la situazione in città peggiorò a tal punto che, ormai sull’orlo di una guerra civile, i technitai furono costretti a lasciare la città (Strabone 14.1. 29).
Alla luce della documentazione epigrafica analizzata è possibile trarre alcune considerazioni finali. Le fonti attestano un gran numero di casi in cui i privilegi di asylia e asphaleia vengono concessi a koina di artisti. Alcune fonti indurrebbero a ipotizzare che questi privilegi tendevano a essere riconfermati, o, per lo meno, ricordati in tutti quei casi in cui, in virtù dello scenario geopolitico in cui gli artisti si trovavano a viaggiare, la sicurezza della persona fisica o l’immunità dei beni dei technitai potevano essere in qualche modo minacciate. A tal proposito, ai casi già presentati, si aggiunge un’altra interessante testimonianza epigrafica: si tratta di due lettere del 146 a.C. indirizzate l’una ai technitai dell’Istmo e di Nemea, l’altra ai technitai di Ionia e di Ellesponto, a quelli di Dioniso kathegemon e probabilmente anche al koinon degli Attalistai fondato da Kraton di Calcedonia, in cui Lucio Mummio da un lato rassicura i technitai dei privilegi di cui essi godono in virtù della loro attività, tanto religiosa quanto artistica, ma dall’altro precisa anche entro quali limiti potranno beneficiarne. [25] Quest’ultima puntualizzazione potrebbe alludere ai coevi fatti geopolitici, e, in particolare, all’istituzione della provincia romana della Macedonia. Inoltre—seguendo la proposta di Le Guen—è possibile ipotizzare che in questa occasione sia stato proprio Kraton, figura di collegamento tra le due associazioni di artisti, quella degli Attalistai da un lato e quella dei technitai di Ionia ed Ellesponto dall’altro, a intervenire in loro favore presso Mummio. [26] Altre testimonianze, letterarie ed epigrafiche (come ad esempio il decreto degli Anfizioni del 279/278 per i technitaidi Atene), invece, sembrano suggerire che la concessione dei privilegi di asyliae asphaleia di cui molti, sia i singoli technitai che i diversi koina, godettero, non dipendesse strettamente dalle circostanze politiche, ma dallo statuto divino e sacro dei technitai, che fin da principio furono designati dagli dei a onorarli con la loro arte. In questa seconda categoria di fonti potrebbe rientrare anche il decreto di Delo in onore di Kraton [Appendix epigraphica 2.2]. La parte centrale del testo del decreto istituisce un forte parallelismo tra la devozione dei technitai e quella di Kraton. Se i technitai meritano di essere considerati per la loro attività, artistica e religiosa, i più pii tra tutti i Greci, ancor di più ne risulta degno Kraton: egli infatti dimostrò in più occasioni non solo il suo zelo nei confronti dei sovrani e dei suoi ‘colleghi’, ma anche la sua devozione nei confronti degli dei, distinguendosi come il più pio tra i piissimi.

– Giulia Nafissi

Le eikones dedicate a Kraton di Calcedonia

Nel decreto di Delo, sono menzionate tre eikones dedicate all’auleta e technites Kraton, da porre nel teatro di Teo, a Delo e in un altro luogo a scelta dell’onorato [Appendix epigraphica 2.2, 26–34]. Per una riconsiderazione delle eikones dell’artista, è necessario partire dal testo epigrafico e contestualizzarne l’analisi al periodo dell’iscrizione, nella metà del II secolo a.C., quando il termine indica solitamente una statua a tutto tondo che rappresentava le fattezze dell’effigiato. [27]
Per tutta la durata dell’età arcaica, per gli artigiani fu impensabile rappresentare una persona mediante le proprie fattezze: basti pensare ai volti generici dei kouroi e delle korai o anche alla designazione di “segnacolo” per le statue funerarie, iscritte con il termine σῆμα per indicare statue funerarie che non riproducevano le fattezze del defunto. [28] Anche le statue dedicate alle divinità in età arcaica non presentano tratti fisiognomici specifici e sono designate con il termine ἄγαλμα che indica qualunque tipo di oggetto votivo. [29] Un altro termine noto, soprattutto dalle fonti letterarie, è l’altrettanto generico εἴδωλον usato per indicare forme rappresentative, solitamente ritraenti figure umane, che deriva dalla radice *wid di ἰδεῖν e che ha a che fare, pertanto, con ciò che percepisce l’occhio e non con il concetto di somiglianza. [30] La situazione appare però differente per un settore della statuaria che è dedicato alla raffigurazione degli atleti vincitori nei giochi olimpici, che in vita ottengono l’onore di essere raffigurati come parte del premio per la loro vittoria. È proprio all’interno di questa particolare categoria di ritrattistica, affermatasi con una certa consistenza a partire dalla seconda metà del VI secolo a.C., che si compie una sorta di differenziazione tra statua votiva e statua onoraria e si afferma la nuova esigenza di identificare con l’oggetto rappresentativo l’individuo a cui l’oggetto stesso è dedicato. [31] Questo tipo di statua può essere definito talvolta con il termine ἀνδριάς, che solitamente è attribuibile agli uomini, ma è anche termine generico per statua con “fattezze umane” e quindi riferibile alle divinità. [32] È proprio in questo contesto però che fa la sua comparsa un nuovo termine, usato per indicare specificamente, questa volta, la statua-ritratto: l’iscrizione di dedica posta sulla base del pugile Euthymos di Locri (vincitore ad Olimpia all’inizio del V secolo a.C.) indica la statua oggetto della dedica con il termine εἰκών, proveniente dalla radice *weik, che veicola l’idea di somiglianza. [33] L’uso di questo termine comincia ad affermarsi stabilmente verso la fine del V secolo a.C.: Erodoto lo usa in riferimento alle statue dei fratelli Kleobi e Bitone, di fatto eroi ma definiti anche olympionikai, dedicate nel santuario di Delfi dagli Argivi in memoria della loro vicenda mitica. [34] Le più antiche statue raffiguranti uomini illustri, non atleti, sembrano essere state quelle dei tirannicidi, che la città di Atene espose, straordinariamente, all’interno dell’Agorà come raccontato da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia. [35] Dalla fine del V secolo a.C. inizia a diffondersi la pratica, che diviene prassi per tutto l’arco del IV e del III secolo a.C., di dedicare statue a personaggi illustri come parte degli onori che una città può concedere al cittadino meritevole. Tra gli uomini, a ricevere questo onore si trovano inizialmente personaggi politici e militari, come gli strateghi, ma ben presto il fenomeno si espande anche agli uomini d’arte e ad altre categorie. [36] In età ellenistica ormai la pratica è divenuta comune, a tal punto che la dedica di statue onorarie diventa una prassi normale. Le città—malgrado concedessero l’onore della statua solo in alcune occasioni attraverso una decisione ufficiale—si riempirono di statue onorarie nei luoghi più in vista e l’età ellenistica fu il periodo di floruit per questo fenomeno. [37]
Nel decreto di Delo si prescrive che Kraton sia onorato attraverso la sistemazione di tre eikones, ovvero tre statue-ritratto raffiguranti l’auleta. Il koinon dei technitai di Dioniso decide di porne una nella città di Teo, più precisamente nel teatro (questa statua è menzionata anche nel decreto dei technitai di Ionia ed Ellesponto e di Dioniso kathegemon [Appendix epigraphica 2.1, A, 23]); una seconda viene posta a Delo, in un luogo da concordare con la città; la terza verrà collocata in un luogo indicato da Kraton [Appendix epigraphica 2.2, 26–34].
Tralasciando quest’ultima disposizione, che potrebbe tradire un onore pro forma, le disposizioni stabilite per queste statue a Teo e a Delo meritano un approfondimento. A Teo la statua dovrà essere incoronata da parte degli agonoteti in occasione della festività annuale (πανήγυρις) del koinon, in occasione delle Dionisie, e ogni qualvolta si celebri un agone cittadino; a Delo invece saranno i technitai stessi ad incaricarsi di tale compito, senza che vengano fornite indicazioni più specifiche. Inoltre, il koinon dei synagonistai dedica una εἰκὼν γραπτή—ovvero “immagine dipinta” [38] —nel Dionysion di Teo con base iscritta [Appendix epigraphica 2.1, B, 27–28]. È bene approfondire la questione della dedica delle tre eikones a Kraton. Essendo dipinta, la εἰκὼν γραπτή del Dionysion di Teo doveva trovarsi in un edificio chiuso o per lo meno coperto, onde evitare che l’esposizione all’esterno agli agenti atmosferici la danneggiasse. Per quanto riguarda la statua posta nel teatro è possibile che si trattasse di una immagine bronzea: [39] statue di questo genere le possiamo trovare nei teatri greci ancora in età imperiale, quando nel teatro di Messene ad esempio, nel II secolo d.C., viene dedicata una immagine bronzea in onore di un filosofo. [40] Per tentare di dare una possibile collocazione alla statua di Kraton collocata nel teatro di Teo è bene offrire alcune informazioni su di esso.
Il teatro di Teo si trovava lungo le pendici sud-orientali dell’Acropoli, rivolto a sud-est: sicuramente ricavato in età preromana nel fianco dell’altura, ad oggi quello che ci rimane sono i resti di età romana. Scavi recenti hanno permesso di individuare una serie di fondazioni in opus incertum al di sotto delle prime file, mentre la summa cavea poggia su un sistema di sostruzioni arcate, fatto che indica che il teatro fu ricostruito ex novo in età romana (Fig. 2). Questo intervento avvenne durante la seconda metà del I secolo d.C. grazie all’evergetismo di Tiberius Claudius Philistes, le cui iscrizioni datano la struttura all’età Flavia. [41]
Il teatro era dedicato a Dioniso, come risulta anche dai numerosi rilievi raffiguranti la divinità. Come per la raffigurazione dipinta, una eikon di Kraton viene posta all’interno di uno spazio dedicato a Dioniso: la statua doveva essere incoronata sia durante la festa annuale del koinon (sotto l’egida dionisiaca), sia durante le Dionisie. È evidente il legame a doppio filo con il dio ed il koinon dei technitai. [42]
La statua di Kraton costituiva il fulcro di uno dei momenti salienti di queste celebrazioni e per questo doveva avere un posto d’onore all’interno del teatro. Tuttavia è difficile darle una collocazione precisa, dal momento che il teatro che vediamo oggi ha subìto pesanti modifiche in età romana e si è perso l’impianto originario. Possiamo immaginare che essa fosse situata nell’orchestra o nelle parodoi, che costituivano in genere gli spazi destinati alle statue onorarie di atleti e benefattori. [43] L’orchestra potrebbe essere un’opzione, al modo delle statue dei poeti Anacreonte e Antimaco, o del filosofo Democrito, tutti originari di Teo. [44] Non è da escludere una sua collocazione sulla scaena, anche se di norma qui si trovavano statue di divinità (non sarà mancata certamente una statua di Dioniso), di eroi o di sovrani. [45] Un parallelo calzante si può ravvisare nella figura dell’auleta Satyros di Samo, onorato con una statua, riferibile alla base rinvenuta in situ davanti al colonnato del proscenio nel teatro di Delo alla fine dell’800, recante la seguente iscrizione: ὁ δήμος ὁ Δη̣λ̣ί̣ω̣[ν] Σάτυρον Εὐμένου Σάμιον. [46] Si tratta della base di una statua onoraria posta dai Delii per Satyros di Samo, figlio di Eumene. Satyros era un artista ben conosciuto anche a Delfi, [47] che fu plausibilmente membro del koinon asiatico. [48] Sulla base dell’esempio della statua di Satyros, si può supporre una collocazione simile per quella di Teo. Per quanto riguarda la statua posta a Delo, invece, è difficile fare delle ipotesi attraverso le esigue informazioni che si possono estrapolare dal testo, ma anche in questo caso il ritrovamento in situ della base di Satyros può costituire un utile confronto per la statua di Kraton.

– Jorge Cocquyt, Lavinia Tutino

Qualche considerazione sugli Attalistai e sul loro edificio. La matrice dionisiaca degli Attalidi e l’eredità di Kraton.

Il rapporto tra Attalidi e technitai dionisiaci emerge dalla clausola contenuta nel decreto della corporazione degli Attalistai in onore di Kraton [Appendix epigraphica 2.3], che di essa fu il fondatore, relativa alla decisione del sovrano Attalo di affidare agli Attalistai l’Attaleion.
Com’è noto, durante l’Età ellenistica si assiste a una fusione delle forme greche con quelle orientali, che ha il suo riflesso, in particolar modo, nel sincretismo religioso. Questo non era altro che l’approdo di un processo di lunga durata iniziato in età classica, si pensi già solo ad Afrodite, o al caso di Cibele e Sabazio. [49] Fra V e IV secolo a.C., tuttavia, la presenza di divinità, culti orientali, o di loro tratti specifici, era complessivamente minoritaria nel mondo greco, e aveva suscitato il vario e opposto interesse degli intellettuali. I casi di studio più interessanti sono indubbiamente la posizione di Euripide nelle Baccanti (ultima tragedia messa in scena ad Atene, ma scritta in Macedonia, fattore significativo, come si vedrà più avanti) e quella di Platone, nelle Leggi (10. 910 bc).
Il sincretismo, l’assimilazione, l’accrescimento della sfera di competenza di una divinità diventano invece prassi consolidata, dapprima grazie all’azione attenta di Alessandro Magno e alla sua precoce assimilazione con Dioniso—in quanto dio straniero ma anche civilizzatore e dio dell’associazione—e poi dopo la morte di Alessandro stesso, al cui modello i Diadochi devono necessariamente ispirarsi nella lotta al potere, soprattutto per una questione di legittimazione. Questo quindi significa che determinate divinità trovano forte risonanza presso i sovrani ellenistici, sia per quanto concerne la loro propaganda politica, sia nei singoli aspetti cultuali di cui si fanno carico.
Una delle caratteristiche principali dei culti dei sovrani ellenistici consiste nell’elaborazione del dogma della discendenza divina degli stessi (un meccanismo che già era presente in età classica, ma con modi e forme diverse). I sovrani di Pergamo, coerentemente col modello di Alessandro, installarono un vero e proprio culto dinastico sotto l’egida di Dioniso kathegemon, che aveva simultaneamente la funzione di dio ἀρχηγός τοῦ γένους (matrice dinastica) e di dio del teatro (matrice pubblica o cittadina), e per il quale erano previste anche celebrazioni misteriche; di ciò abbiamo diverse testimonianze sia letterarie sia documentarie. I testi più significativi sono costituiti da due oracoli. Il primo è riportato in Pausania (10.15.3) ed è una celebrazione di Attalo I per la sua vittoria contro i Galati (240–239 a.C.); lo avrebbe pronunciato la pizia Faennide intorno al 281 a.C.:

     ἦ τότ’ ἀμειψάμενος στεινὸν πόρον Ἑλλησπόντου
† αὐδήσει Γαλατῶν ὀλοὸς στρατός, οἵ ῥ’ ἀθεμίστως
Ἀσίδα πορθήσουσι· θεὸς δ’ ἔτι κύντε ραθήσει
<πάγχυ> μάλ’, οἳ ναίουσι παρ’ ἠϊόνεσσι θαλάσσης –
5   εἰςὀ λίγον· τάχα γάρ σφιν ἀοσσητῆρα Κρονίων
ὁρμήσει, ταύροιο διοτρεφέος φίλον υἱόν,
ὃς πᾶσιν Γαλάτῃσιν ὀλέθριον ἦμαρ ἐφήσει.
Παῖδα δὲ εἶπε ταύρου τὸν ἐν Περγάμῳ βασιλεύσαντα Ἄτταλον· τὸν δὲ αὐτὸν τοῦτον καὶ ταυρόκερων προσείρηκε χρηστήριον.
Invece, negli Excerpta Historica (vol. IV, p. 387, linea 24 Boissevain-Büttner Wobst) composti da Costantino VII Porfirogenito rinveniamo, fra i tanti, questo passo di Diodoro Siculo (presumibilmente 34–35.13.1–5): l’oracolo è spontaneo, e ha stilemi tipici, come il rimando al principio delle tre generazioni: [50]

Ὅτι τοῦ Ἀττάλου τοῦ πρώτου βασιλέως χρηστηριαζομένου περί τινος ἐπαυτοματίσαι τὴν Πυθίαν φασὶ:
“Θάρσει, ταυρόκερως, ἕξεις βασιληίδα τιμὴν
καὶ παῖδες παίδων, τούτων γε μὲν οὐκέτι παῖδες.”
I due oracoli sono un’ottima espressione della necessità di legittimazione da parte della casata regale, e il primo sembra avere anche un sapore di costruzione post eventum. [51]
Soffermandoci sul testo, è notevole l’epiteto ταυρόκερως, probabilmente di natura strettamente cultuale, essendo presente nella parodo delle Baccanti di Euripide, dalle movenze inniche (99–103):

       ἔτεκεν δ’, ἁνίκα Μοῖραι
100 τέλεσαν, ταυρόκερων θεὸν
στεφάνωσέν τε δρακόντων
στεφάνοις, ἔνθεν ἄγραν θηρότροφον μαι-
νάδες ἀμφιβάλλονται πλοκάμοις.
La scelta del toro si giustifica col fatto che esso era uno degli animali tipici del corteggio dionisiaco, e fra i prediletti dalle metamorfosi del dio, nonché espressione della forza della natura in Beozia o nell’Elide. [52] Plutarco (Quaestiones Graecae 36. 299B = PMG 871, 6–7) ci tramanda un inno a Dioniso cantato dalle donne elee per propiziare l’epifania del dio:

«Διὰ τί τὸν Διόνυσον αἱτῶν Ἠλείων γυναῖκες ὑμνοῦσαι παρακαλοῦσι βοέῳ ποδὶ παραγίνεσθαι πρὸς αὐτάς;» ἔχει δ ̓οὕτως ὁ ὕμνος: «Ἐλθεῖν, ἦρ ̓, ὦ Διόνυσε, / Ἀλείων ἐς ναὸν / ἁγνὸν σὺν Χαρίτεσσιν / Ἀλείων〉ἐς ναὸν / τῷ βοέῳ ποδὶ δύων». εἶτα δὶς ἐπᾴδουσιν «ἄξιε ταῦρε».

L’epiteto ricorre, infine, in Euforione (14. 1 Powell) e nell’Inno Orfico 52, al verso 2, anch’esso per Dioniso.

Ma i testi sono anche prova di una sottesa concorrenza nei confronti dei Tolemei. Anche loro si affidavano a Dioniso come nume tutelare, e lo avevano unito in forma sincretica al dio Osiride, ma si professavano, al contempo, discendenti di Eracle, rimontando in ultima istanza a Zeus. Allo stesso modo, gli Attalidi riconnettevano le loro origini regali non solo a Dioniso, ma anche ad Eracle. L’inno composto dal poeta Nicandro (fr. 104 Schneider) ne è un chiaro esempio:

1 Τευθρανίδης, ὦ κλῆρον ἀεὶ πατρώιον ἴσχων,
κέκλυθι μηδ’ ἄμνησ τον ἀπ’ οὔατος ὕμνον ἐρύξῃς,
Ἄτταλ’, ἐπεί σε οῥίζαν ἐπέκλυον Ἡρακλῆος
ἐξέτι Λυσιδίκης τε περίφρονος, ἣν Πελοπηίς
5   Ἱπποδάμη ἐφύτευσεν ὅτ’ Ἀπίδος ἤρατο τιμήν.
Il probabile modello comune di riferimento potrebbe essere quello che leggiamo in Teocrito (Idilli 17. 20–25), in un encomio dei Tolemei:

20 ἀντί αδ’ Ἡρακλῆος ἕδρακεν ταυροφόνοιο
ἵδρυται στερεοῖο τετυγμένα ἐξ ἀδάμαντος·
ἔνθα σὺν ἄλλοισιν θαλίας ἔχει Οὐρανίδῃσι,
χαίρων υἱωνῶν περιώσιον υἱωνοῖσιν,
ὅττι σφεων Κρονίδης μελέων ἐξείλε το γῆρας,
25 ἀθάνατοι δὲ καλεῦνται ἑοὶ νέποδες γεγαῶτες.
Memorabile anche l’epigramma ellenistico SEG XXXIX 1334 in cui emerge l’associazione fra re e dio, celebrati insieme dall’autore del testo.

1   παῖς ὁ Δεινοκράτους με σοί, Θυώνης
κοῦρε, καὶ βασιλῆι τὸν φίλοινον
Ἀττάλωι Διονυσόδωρος εἷσεν
Σκίρτον οὐξικυῶνος—ἁ δὲ τέχνα
5   Θοινίου, τὸ δὲ λῆμμα πρατίνειον—·
μέλοι δ’ ἀμφοτέροισιν ὁ ἀναθείς [με].
Degne di nota sono anche tre dediche votive che testimoniano che Dioniso kathegemon era indissolubilmente legato al re e al teatro e aveva quindi una dimensione al contempo pubblica e privata:
I.Pergamon 221

     [βασιλεὺς Ἄτ]τ̣αλο[ς βασιλέως Ἀττάλου]
[- – – ἱ]ε̣ρέα Δ[ιονύ]σ[ου Καθηγε]-
[μόνος, δι’] ἀ̣ρετὴν καὶ φ[ιλανθρωπίαν]
[Διονύσ]ωι Καθ[ηγεμόνι].
5   [- – – Μηνοφά̣[νου]
[Περγα]μηνὸς ἐπό[ησεν].
I.Pergamon 222

     Διον̣ύσ[ωι Καθηγεμόνι]
καὶ τοῖς [- – -]
Ἀρ[ί]σταρχο[ς – – -].
τ[ὸ σ]τιβάδε[ιον – – -]
I.Pergamon 236

     Ἀπολλόδωρος Ἀρτέμωνος γενόμενος γραμματεὺς δήμου τὸν πυλῶνα καὶ τὸ ἐν αὐτῶι ἐμπέτασμα
Διονύσωι Καθηγεμόνι καὶ τῶι δήμωι.
Non stupisce dunque che questo tipo di raffigurazione dionisiaca fosse assai diffusa nel Regno di Pergamo, con fine esplicitamente propagandistico, a cominciare dai rilievi del tempio per Apollonide di Cizico, moglie di Attalo I, di cui siamo informati dal terzo libro dell’Anthologia Palatina. Infine, occorre richiamare alla mente il fregio del tempio di Pergamo, in cui Dioniso è protagonista indiscusso: raffigurato in maniera tradizionale, nella sua veste di civilizzatore trionfante contro i Giganti, è identificabile proprio con Dioniso kathegemon, anche grazie ad una complessa rete di rimandi simbolici.
È sicuro che a presiedere il culto dinastico attalide fossero proprio gli Attalistai, i protagonisti del decreto di Teo in onore del fondatore Kraton [Appendix epigraphica 2.3]. Non è chiaro se tale corporazione fosse connessa ai technitai dionisiaci e avesse una matrice artistica, [53] ma senza dubbio si può ammettere un ruolo centrale di Kraton che, da technites, aveva avuto modo di realizzare una scalata sociale di primo livello, arrivando ad essere una figura di rappresentanza assoluta e di mediazione presso gli Attalidi. Fu lui stesso a creare questo κοινόν, che aveva il compito di curare il culto regale: l’elenco dei σώματα lasciati in eredità da Kraton, come nota Le Guen, [54] rimanda al contesto dionisiaco e serviva a perpetuarne il culto, [55] mentre il νόμος ἱερός consisteva, con ogni probabilità, in una serie di regole del culto stesso. Vale dunque la pena soffermarsi sugli oggetti di Kraton, riportati sul verso del decreto degli Attalistai.
Rigsby 1996, 137:

     [ – – – ?λογισ]μοῦ καὶ <π>αραδόσεως [ – – – ]
[ – – – ἐπιτρ]οπεύων? ΤΑΙ[. .]ΔΟΝΩΣ ἐπίτροπον ὑ[π]ὸ τ[οῖς]
Ἀτταλισταῖς, ὥστε ὑπάρχειν αὐτοῖς καὶ τὰ στρώμ-
ατα καὶ τὰ σκ[ε]υή, ο<ἷ>ς καὶ ἐπ’ ἐμοῦ [ἐχρ]ῶν<τ>ο, ἀμφιτά[πους]
5   ἐννέα ψιλάς, ἐν<ν>έα ὑπαγκώνια καὶ τὰ λίνα μαλακώτατα (vel τριάκοντα?)
τραπέζας δύο, τριπόδια δύο, κάδον διμέτρητον,
χαλκίον τε τραχοϊαῖον καὶ ἄμβικον, λεκάνην ἐς πο-
τήρια, καὶ ἄλλην ποδανιπτῆρα, λυχνίαν χαλκῆν σαλ-
πιγγωτήν, λύχνον χαλκοῦν δίμυξον, δίφρον ἐβένιν-
10 ον, ἀσπίδα καὶ δόρυ. [56]
Per capire qualcosa di questo insolito e ricco corredo può essere utile analizzare ogni sua singola componente, iniziando da un passo di Ateneo (4.74, 11 Kaibel):

Ἀριστοτέλης δ’ ἢ Θεόφραστος ἐν τοῖς ὑπομνήμασι περὶ Μαγνήτων λέγων τῶν ἐπὶ τοῦ Μαιάνδρου ποταμοῦ ὅτι Δελφῶν εἰσιν ἄποικοι τὰς αὐτὰς ἐπιτελοῦντας αὐτοὺς ποιεῖ χρείας τοῖς παραγιγνομένοις τῶν ξένων, λέγων οὕτως· ‘Μάγνητες οἱ ἐπὶ τῷ Μαιάνδρῳ ποταμῷ κατοικοῦντες ἱεροὶ τοῦ θεοῦ, Δελφῶν ἄποικοι, παρέχουσι τοῖς ἐπιδημοῦσι στέγην, ἅλας, ἔλαιον, ὄξος, ἔτιλύχνον, κλίνας, στρώματα, τραπέζας.
Il brano riferisce alcune prese in giro nei confronti dei Delfi da parte dei satiri, perché passano troppo tempo a far feste e sacrifici: qui leggiamo una testimonianza relativa ai Magnesi, coloni di Delfi, e alla loro generosità nei confronti degli stranieri, che ricevono una serie di oggetti, in buona parte utilizzati per l’appunto in contesti rituali. Alcuni di essi si ritrovano nel lascito di Kraton. Evidentemente, tutti questi oggetti avevano una funzione in primo luogo simposiale, e non è da escludere, come si vedrà, anche una funzione rituale di matrice dionisiaca, visto il contesto dell’iscrizione degli Attalistai.
Sorvolando sulla τράπεζα e sui cuscini di lino (ὑπαγκώνια), che richiamano già di per sé stessi il contesto simposiale, possiamo parlare degli oggetti che seguono.
Il tripode (τριπόδιον) e la giara (κάδος) ricorrono spesso in un contesto di libagione assieme al vino, quindi si conferma il loro carattere, più o meno intrinsecamente, dionisiaco. Si leggano i passi seguenti, uno strettamente lirico, un altro parodico:
Anacr. fr. 28 Page = fr. 93 Gentili.

ἠρίστησα μὲν ἰτρίου λεπτοῦ μικρὸν ἀποκλάς,
οἴνου δ’ ἐξέπιον κάδον· νῦν δ’ ἁβρῶς ἐρόεσσαν
ψάλλω πηκτίδα τῆι φίληι κωμάζων †παιδὶ ἁβρῆι†.
Antifane fr. 112 K.-A. (dalle Donne di Caria)

τρίποδα καὶ κάδον
παραθέμενος ψυκτῆρά τ᾽ οἴνου […]
μεθύσκεται.
Questi due passi sono citati da Ateneo (11. 45. 25, e 109. 15 Kaibel) che parla di tre oggetti preposti alla cura del vino, una giara che lo conteneva, un’anfora per rinfrescarlo e il tripode su cui poggiava. Il contesto, come si dirà poi, è un ampio catalogo di oggetti da simposio, elencati proprio durante un banchetto. Un’epigrafe attica sembra confermare l’utilizzo dionisiaco del κάδος in questione. [57]
L’ἄμβιξ è un hapax epigrafico, mentre siamo più fortunati sul versante letterario: oltre a poche menzioni in testi medici (Dioscoride Pedanio, Oribasio) e in testi di alchimia, [58] ce ne parla sempre Ateneo (11.60, 15 Kaibel) durante la discussione dei banchettanti in merito ai diversi tipi di coppe da simposio, descritte per forma e dimensione, presentate in ordine alfabetico. Le coppe di Argo somigliano agli ἄμβικες (e a titolo di esempio si cita Semonide di Amorgo, fr. 27 West) per via della forma comune ai due manufatti, dall’estremità appuntita. Su di essa, non è possibile dire se avesse natura eminentemente dionisiaca, ma è comunque innegabile il suo ruolo simposiale.
Per quanto riguarda la bacinella per il lavaggio dei piedi (λεκάνη), le attestazioni epigrafiche non sono moltissime, mentre sembra che solo il testamento di Kraton ne prevedesse anche una esplicitamente dedicata alle coppe (ἐς ποτήρια). Ci soccorre tuttavia uno scolio alla Pace di Aristofane, verso 1244a, 5, [59] in cui si fa riferimento a questo tipo di coppa utilizzata per giocare al cottabo. Come apprendiamo da Ateneo (2. 86, 12 Kaibel), evidentemente il suo uso era piuttosto diffuso durante il simposio: egli, citando Antifane (fr. 243 K.-A.), annovera la coppa nella mobilia della sala da pranzo.
Passiamo adesso al candelabro (λυχνία) e alla lucerna (λύχνος). Entrambi gli oggetti sono attestati numerose volte in vari testi epigrafici, soprattutto in inventari e leggi sacre. Erano generalmente d’argento o di bronzo e svolgevano anche una funzione rituale, oltre che semplicemente pratica, come attesta Ateneo (15.699d). L’uso rituale del candelabro è chiaramente attestato da un’iscrizione milesia nella quale il re Seleuco I invia e dedica una serie di oggetti presso il santuario di Apollo a Didima, tra cui un candelabro (λυχνία) e alcune coppe d’oro, e prescrive, tramite una lettera, che vengano utilizzati in ambito cultuale per fare libagioni e durante la consultazione oracolare. [60] Riguardo al λύχνος, merita di essere menzionata un’epigrafe di Locri in cui la lucerna appare strettamente legata al contesto cultuale dionisiaco: la legge del tiaso impone di pagare una quota di 14 oboli e di dedicare alla menade, probabilmente in occasione di una celebrazione specifica, tre lucerne a nome dell’intero κοινόν. [61] Si legga anche la legge sacra datata al I sec. a.C., rinvenuta a Capo Sunio, e riguardante il culto di Men Tyrannos, il dio della luna, venerato in particolar modo in Frigia. In questo culto, che fu importato in Attica da Xanthos, un immigrato proveniente dalla Licia, sembra potersi riconoscere l’uso rituale della lucerna durante il sacrificio. [62] Altrettanto interessante, infine, quanto attestato da un’epigrafe del Fayuum, una lettera dei sacerdoti di Pnepheros alla regina Berenice IV (78–55 a.C.), in cui si legge che le lucerne venivano accese durante alcuni sacrifici e libagioni: tali azioni, assieme ad altre non specificate (τἆλλα [τὰ] ν̣ομιζόμενα) facevano parte di un rito eseguito ‘incessantemente’, per una divinità locale, il dio coccodrillo Pnepheros. [63]
La conferma definitiva della ritualità della torcia, indicata col termine δαΐς, ovvero un tizzone di pino resinoso, ci viene data dal più antico esempio testuale di rito dionisiaco, una τελετά archetipica, il frammento 70b Sn.-Maeh. di Pindaro (8–18):

     Σεμνᾷ μὲν κατάρχει
Ματέρι πάρ μεγᾴλα ῥόμβοι τυπάνων,
10 ἑν δὲ κέχλαδ[εν] κρόταλ’ αἰθόμενα τε
δαῒς ὑπὸ ξαν̢τα̡ ῖ̣σιν πεύκαις·
ἐν δὲ Ναΐδων̣ ἐ̣ρίγδουποι στοναχαί
μανίαι τ’ ἀλαλ̣ ̢αί̡ τ’ ὀρίνεται ῥιψαύνει
σὺν κλόνῳ.
15 ἐν δ’ ὁ παγκρατὴς κεραυνὸς ἀμπνέων
πῦρ κεκίν̣η̣[ται το τ’] Ἔ̣ν̣υαλί̣ου
ἔγκος, ἀλκάεσσά [τ]ε̣ Παλλάδο[ς] αἰγίς
μυρίων φθογγάζεται κλαγγαῖς δρακόντων
Nel passo emerge chiaramente anche il legame con la lancia: probabilmente è un’allusione ad una sorta di danza rituale, in cui si facevano battere le lance sugli scudi. A questo tipo di rito non era estranea la religiosità greca, si pensi soltanto ai versi 52–54 dell’Inno a Zeus di Callimaco.
Le attestazioni epigrafiche degli ultimi tre oggetti sono molte, e sono frutto per lo più di attività di rendiconto. Se consideriamo però il modo in cui lancia, scudo e carro compaiono insieme nei testi epigrafici a nostra disposizione, ci accorgiamo che la loro combinazione è insolita.
Va notato, infatti, che lo scudo si trova assieme al carro in dodici testi, [64] mentre è assieme alla lancia in altri nove testi. [65] Infine, in IG I3 422 è presente l’unica occorrenza in cui troviamo lancia e carro. Se ne conclude che la nostra iscrizione è l’unica in cui i tre oggetti compaiono assieme. Ma non solo: è sinonimo di rarità anche il materiale con cui è fatto il carro. L’ebano è un materiale attestato in maniera assolutamente minima da un punto di vista epigrafico. [66]
È utile ricordare che nel mondo greco non era assolutamente comune che un privato dedicasse oggetti di tale portata, espressione di uno status symbol e provenienti da un grande accumulo di ricchezze. Ciò deve essere necessariamente frutto della grande ascesa sociale di Kraton.
L’Attaleion dunque doveva essere il luogo dove il culto dinastico veniva officiato dagli Attalistai raccolti in riunione. Un ragionevole termine di paragone potrebbe essere rappresentato da un’iscrizione rinvenuta a Teo, dove si regolamentava il culto per la moglie del re, la regina Apollonide di Cizico: figurano preghiere, libagioni, una processione, un inno e infine un altare a lei dedicato con l’epiteto di θεά. [67]
Tuttavia ad oggi lo schema costruttivo dell’Attaleion e la sua precisa localizzazione sembrano inattingibili, infatti si potrebbe pensare ad esso come un vero e proprio tempio, oppure un semplice edificio adiacente al teatro che comprendeva il τέμενος di cui si parla nel testo dell’iscrizione, se non addirittura identificarlo con il τέμενος stesso [Appendix epigraphica 2.3, 30]. [68] Gli unici due punti su cui potrebbe esserci accordo sono la localizzazione geografica, ma non topografica, e lo statuto del recinto sacro. Che l’Attaleion si trovasse a Pergamo, capitale del regno, e non a Teo sembra infatti l’ipotesi più verosimile, [69] tenendo conto anche del fatto che a Teo (dove il testo è stato rinvenuto) venivano pubblicate le copie dei decreti dell’assemblea. Il recinto sacro era invece il luogo dove venivano probabilmente effettuati le libagioni e i sacrifici di carattere dionisiaco per il sovrano (celebrazioni pagate tramite le dracme e i σώματα di Kraton), forse a costituire un’estensione dell’Attaleion. Non è possibile dire con sicurezza se il τέμενος contenesse anche l’altare sacrificale per il re: gli altari di Pergamo che conosciamo erano consacrati a diverse divinità, e anche ai sovrani, ma resta ignoto se questi ultimi fossero associati alle divinità con l’epiteto θεός solamente post mortem. Appare questa comunque l’ipotesi più probabile e seducente. [70]
Ciò che è degno di nota è però l’ensemble di questi edifici, in particolar modo la stretta correlazione fra teatro e recinto sacro. Essa è espressione schietta del legame fra culto dinastico di matrice dionisiaca e artisti itineranti, riuniti nella corporazione degli Attalistai. Evidentemente erano gli attori principali della propaganda attalide in tutto il Regno di Pergamo.
Al netto delle numerose incertezze e dei problemi aperti che il decreto degli Attalistai lascia, i caratteri dionisiaci del culto regale degli Attalidi e il ruolo degli Attalistai di Kraton sembrano emergere con sufficiente chiarezza. E appare altrettanto evidente che Eumene II prima, e Attalo II poi, si fossero avvalsi di associazioni dionisiache e dei technitai (che avevano in un dio tanto importante quanto complesso come Dioniso il nume tutelare) per propagandare il proprio culto familiare di matrice dionisiaca.

– Riccardo Biagiucci

La synoikia

Nel decreto degli Attalistai, tra i beni lasciati da Kraton, viene menzionato il termine synoikia, [Appendix epigraphica 2.3 21–22]. La struttura viene localizzata nelle vicinanze delle residenze reali e affidata da Kraton alla corporazione da lui fondata, al modo dell’Attaleion presso il teatro. Oltre a quest’ultimo, il technites possedeva un edificio che aveva in vita acquistato da un certo Mikkrios o Mikkrias. Ma cos’è realmente la synoikia e perché supporre la presenza certa di un contratto di vendita e o di possesso per tale edificio? Il termine è composto dal suffisso syn (“con”) e dal sostantivo oikia (“casa”) e presuppone una coabitazione, in una accezione semantica che esula dalla forme espressive architettoniche delle strutture indicate con questo nome. Al termine vengono attribuiti i seguenti significati: abitazione, albergo, dimora, dove sono più famiglie, o anche magazzino e infine coabitazione, casamento. [71] In Eschine (1. 124. 2), il termine è usato per indicare grandi caseggiati abitati da più persone che se ne dividevano l’affitto. Synoikia può indicare luoghi deputati alla produzione o alla vendita di materie prime o merci: nella stessa orazione, sono menzionati ergasteria che si affacciano sulle strade. Lo Pseudo Senofonte (Athenaion Politeia 1. 17) menziona con questo termine l’affitto di alloggi (synoikiai), collegandolo all’ambito commerciale. Tra le fonti epigrafiche, degna di menzione è IG XII 5, 872 da Thasos, dove synoikia è riferito alla lavorazione di merci o metalli (un tale Theodektes fa dono alla polis di ergasteria vari e di una synoikia). L’iscrizione si data alla seconda metà del II sec. a.C., dunque qualche decennio dopo l’iscrizione degli Attalistai [Appendix epigraphica 2.3]. Si tratta di un architrave riutilizzato come materiale di reimpiego che probabilmente apparteneva a un ergasterion non distante dall’altro edificio dedicato, la synoikia. Nel panorama epigrafico non vi sono altre attestazioni di un diretto collegamento tra la synoikia e la vendita o la produzione di merci. Il termine comunque compare in almeno altre trenta iscrizioni, quasi tutte mutile, la cui più alta frequenza di attestazione è localizzata in Attica e nelle isole; più sporadiche sono le attestazioni del termine in iscrizioni provenienti dalla Ionia o dal Peloponneso. [72]
Tornando alla synoikia dell’iscrizione di Kraton, si potrebbe tentare di risalire alla funzione dell’edificio ereditato dagli Attalistai. Data la vicinanza ai Basileia di Pergamo e il silenzio dell’epigrafe su ogni altra attività svolta nella struttura, si potrebbe forse affermare che essa servisse da dimora privata prima dell’acquisto da parte di Kraton. Riguardo poi all’utilizzo di essa da parte degli Attalistai, si può ipotizzare che la synoikia fosse un edificio con funzioni aggregative. In alternativa, potrebbe essere stato utilizzato come magazzino per i beni lasciati in eredità da Kraton. A livello ipotetico, Kraton potrebbe aver tenuto in affitto un alloggio in questa dimora e poi avere acquistato l’intero complesso, che alla sua morte destinò agli Attalistai: che sia stato utilizzato come luogo di residenza per i technitai provenienti da Teo nei soggiorni pergameni?

– Rossano Ricciutelli

Una coniazione della gilda di Dioniso

Il decreto onorario del koinon degli Attalistai per Kraton di Calcedonia [Appendix epigraphica 2.3] fornisce una testimonianza del ruolo centrale che Kraton rivestì presso la corte pergamena. Il suo stretto legame con la dinastia attalide, testimoniato dal fatto che è proprio attraverso il re Attalo che si conoscono le volontà di Kraton, l’ingente patrimonio lasciato alla gilda di artisti da lui creata e le cariche rivestite costituiscono tutti interessanti indizi della rilevanza di questa figura.
Indice della spiccata rilevanza del personaggio è senz’altro il privilegio conferito al koinon degli Attalistai di battere monete recanti il nome della gilda. Queste emissioni monetali recano al recto la testa di Dioniso che indossa una mitra e una corona d’edera e al verso un tirso entro una corona d’edera con la legenda ΤΩΝ ΠΕΡΙ ΤΟΝ ΔΙΟΝΥΣΟΝ ΤΕΧΝΙΤΩΝ. Si tratta di tetradrammi d’argento del peso di 16,85 g databili al 155–145 a.C., emessi presumibilmente da una zecca con sede a Teos. I motivi impressi sul dritto e sul rovescio di questi tetradrammi (rispettivamente la testa di Dioniso e il tirso) fanno riferimento al carattere dionisiaco del koinon.
C. Lorber e O.D. Hoover hanno evidenziato come questi tipi monetali rientrino nel gruppo di tetradrammi con una caratteristica corona al rovescio, emessi dalle zecche della Grecia continentale, delle isole dell’Egeo e delle città della Ionia e dell’Eolide nel II secolo a.C. [73] In particolare le monete coniate da queste ultime sono quelle che trovano un più diretto confronto con i tetradrammi della gilda dionisiaca, i quali vengono ricollegati alle emissioni della città di Myrina e per tale motivo datati nell’intervallo 155–145 a.C.
Sono state messe in evidenza alcune particolarità emerse dall’analisi dei tetradrammi degli artisti di Dioniso. Innanzitutto si è notato come i tipi vengano impressi su tondelli di secondo impiego, i quali avevano in precedenza ospitato altre rappresentazioni che non si è però in grado di riconoscere. Si è poi rilevata l’assenza su questi tetradrammi di marchi di controllo.
Al fine di individuare le motivazioni di questa coniazione ad opera dei technitai di Dioniso, i due studiosi si sono concentrati sulla cronologia di queste emissioni. Si è escluso che si trattasse di monete utilizzate per i pagamenti o per le attività della gilda. Infatti, a ben vedere, la somma lasciata in eredità da Kraton agli Attalistai, di cui si fa menzione nel decreto del koinon, non è in tetradrammi bensì in dramme alessandrine [Appendix epigraphica 2.3, 23–24: ἀργυρίου Ἀλεξανδρείου δραχμὰς]. Così anche la multa comminata, per decreto della gilda, agli artisti che, dovendo esibirsi alle Dionisie di Iasos, avessero defezionato senza un valido motivo, doveva essere pagata in “dramme di Antioco”: ancora una volta dunque un nominale diverso dai tetradrammi emessi dall’associazione di artisti.
Alla luce di quanto considerato, escludendo l’utilizzo abituale di questi tetradrammi per le operazioni della gilda, si può ipotizzare che la loro coniazione fosse legata a un’occasione specifica, a un particolare evento da celebrare. Il periodo in cui questi tipi vengono datati (155–145 a.C.) coincide con la fase in cui l’associazione degli artisti di Dioniso della Ionia e dell’Ellesponto, unitasi a quella degli artisti di Dioniso kathegemon, è sotto il controllo della dinastia Attalide. Probabilmente questi tetradrammi vennero battuti proprio in occasione della formazione del koinon degli Attalistai ad opera di Kraton che viene datata tra il 159 e il 153/152 a.C. L’intento doveva essere quindi quello di celebrare la costituzione della gilda e anche di pubblicizzare tale avvenimento presso un pubblico assai vasto, come testimonia la scelta di coniare tetradrammi e non cistofori. Questi ultimi, infatti, venivano battuti per volere della dinastia Attalide per coprire la circolazione esclusivamente nel regno pergameno. I tetradrammi, invece, potevano circolare al di fuori di esso ed abbracciare di conseguenza un areale più ampio. In effetti, queste emissioni sembra abbiano raggiunto la Siria e potrebbero essere state utilizzate, alla stregua degli altri tetradrammi con la caratteristica corona emessi da altre città dell’Asia Minore, di cui si diceva in precedenza, per finanziare la successione al trono seleucide di Alessandro I Balas, la cui ascesa era sostenuta dagli Attalidi.
In conclusione, l’analisi di queste coniazioni ci consente di ricostruire la rilevanza politica di cui godeva la gilda degli Attalistai alla quale fu conferita l’autorità—di solito riservata alle città o ai sovrani—di poter coniare monete e di imprimere su di esse il nome dell’associazione e—altro dato non trascurabile—l’agiatezza dell’associazione degli artisti di Dioniso, la quale poteva contare sulla disponibilità economica necessaria per sovvenzionare una coniazione monetale.

– Sophia De Gaetano

The role of the music in the city of Teos in the 2nd century BCE

One of the most remarkable pieces of evidence provided by the decree of the Attalistai [Appendix epigraphica 2.3] in honor of the auletes Kraton is the very high cultural and socio-economic status achieved by the musician in the Kingdom of Pergamon and in the Ionian cities.
If, on one hand, it is still debated whether the honorary decree is an engraved copy of a decree describing honors to be tributed to Kraton in Pergamon and subsequently published in the cities where the aulos-player was also active, or, on the other hand, it is a genuinely Tean promulgation, [74] a more general investigation is deserved to understand the role played by musicians in the political context of the Asia Minor cities, under the influence of Attalids, in the first half of the second century BCE.
In this respect, a certain number of inscriptions related to music in Teos (200–160 BCE) shows that musical practices formed part of the cultural policy of the Ionian community, similarly to the activities promoted by the Attalids after the Apamea treatise (188 BCE). A recent study investigated this aspect analyzing an inscription concerning the education of children in the polis of Teos. [75]
The so-called Polythrous’s foundation [Appendix epigraphica 2.4] contains a law regulating educational activities for Tean boys and girls, who were sons of free men. The date of this inscription is uncertain, even if several arguments place it during the first half of the second century BCE. This inscription attests to the high level of music lessons and the socio-economic status of music teachers, who may have belonged to the technitai settled in Teos.
Polythrous, son of Onesimos, who must have been a citizen belonging to the civic élite of the Hellenistic Teos, is otherwise unknown. He brought a total amount of 34,000 drachms for the foundation of a school, where three categories of teachers were hired: grammatodidaskaloi, a kitharistes or a psaltes, and an ὁπλομάχος along with a teacher for archery and javelin. These teachers were selected once a year by a paidonomos.
The first ones were in charge of teaching literature, including Homeric poems and more recent works, as well as calligraphy and painting techniques, as can be deduced from the contests of young boys, [76] which also included reading and general knowledge. There were three stages of education, according to pupils’ age: paides, neoteroi, and epheboi. Each level had its own grammatodidaskalos, who earned between 600 and 500 annual drachms, according to the level of the pupils.
It is interesting that lessons of literature were open to both boys (παῖδες) and girls (παρθένοι): this clearly indicates that literary tradition should be taught to both sexes, reducing the difference between them. Young girls were not excluded from the civic institutions, at least in this Ionian polis. However, we lack parallels in other contexts to judge if it was a peculiarity of Teos.
The hoplomachos acted as a master of arms, carrying out the training of the young pupils (neoteroi and epheboi) only during two months for each year, receiving 300 drachms, whereas the teacher for archery and javelin earned 250 drachms during the same period.
Then, the kitharistes, or psaltes, was in charge of teaching both theoretical and instrumental aspects of music. Indeed, neoteroi should learn the μουσικά, a neutral plural substantivized adjective that is used for referring to the theory of music [Appendix epigraphica 2.4, 34], [77] as well as κιθαρίζειν ἢ ψάλλειν [Appendix epigraphica 2.4, 18], that are infinitives indicating technical terms for playing a chordophone with or without a plectrum. The latter expression should refer to the instrumental practice. Conversely, music teachers taught only μουσικά (indicating the music theory) to epheboi and this complies with music teaching also in the last years of education.
The use of chordophones had a long-standing tradition in Teos, homeland of Anacreon, who is considered the inventor of the barbitos, a stringed instrument of the same family of the lyre, in which strings were extended over a tortoise shell used as a sound-box. Curiously, wind instruments are not mentioned in Polythrous’s foundation nor are there technical terms related to them.
The kitharistes, or psaltes, earned 700 drachms per year, which is a higher salary than that of the grammatodidaskalos. Using information from other inscriptions of the Hellenistic period, we can compare this salary to others, observing that these teachers had a middle-class status. For example, the aulos-players and the choristers for the Delian Apollonia received a salary of 1500 drachms, whereas the maidens of a sanctuary received about 120 drachms.
The criteria for the selection of the kitharistes/psaltes are not fully understood. It is likely that technical skills were considered but popularity should also play a role in their choice. The fact that the assignment of the music teaching had at least the duration of one year has suggested that the recruitment should take place among musicians already present in the polis. This has naturally led to considering the possibility that the teachers could be selected among the technitai settled in Teos, either belonging to the koinon of the Dionysian technitai of Ionia and the Hellespont, or to that of the technitai of Dionysos kathegemon, or finally to the Attalistai (if we admit for them an artistic commitment), depending on the chronology. In this case, the salary earned through music lessons would represent an extra-income for the financial resources of the artists, given that board and lodging were already provided by the koinon.
The Polythrous’s foundation recognizes that music also had a political role in the education of children. The teaching of the three disciplines—literature, music, and arms—should forge the perfect citizens, educated to defend both the city walls and to preserve the culture of Teos. This cultural direction looks like that pursued by the Attalids in different contexts, like Delphi.
An attestation that music had a political as well as diplomatic function in Teos is provided by another inscription, [78] which presents a law establishing a civic cult for the late queen Apollonis of Pergamon. This decree instituting religious ceremonies in honor of Apollonis, which must be dated to 166/159 BCE, is a further attestation of the civic cults set up by Greek poleis in honor of the Hellenistic monarchs. As far as musical practices are concerned, this honorary decree for Apollonis provides evidence that musical performance, involving both boys and girls, formed part of the ceremonies. In fact, at lines 8–10, we read: ἆισαι τοὺς ἐλευθέρους παῖδας παραβώμιον, / [χορ]εῦσαι δὲ καὶ τὰς παρθένους τὰς ἐπιλεγείσας ὑπὸ τοῦ παιδονόμου / [καὶ] ἆισαι ὕμνον· [“(scil. it is decreed that) young free boys will sing a παραβώμιον, while the young girls those selected by the paidonomos will dance and sing a hymn”].
It is reasonable to think that the young boys and girls acting in this performance would be the same pupils of the Polythrous’s foundation. It remains an open question if the school was actually founded to assure that the annual performance of this festival in honor of the divinized queen would have been carried out.
In any case, the institution of these cults is tied up to the political events in which the polis was involved and shows the will of Teos gaining favor with the Attalids. In this context, music had a fundamental place in the framework of the official cult. The Polythrous’s foundation could represent a means to fill a previous gap and to reinforce local dynamics.
In this perspective, the very high socio-economic status reached by Kraton should be understood situating his story of preeminent aulos-player in such a vibrant cultural background.

– Salvatore Luigi Guglielmino

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Appendix epigraphica 2

1. Teos. Tre decreti onorari dei technitai per Kraton di Calcedonia

Le Guen 2001 1:n° 33, 44, 48.
180–170 BCE

A Ἐπὶ ἱερέως Σατύρου, καὶ ἀγωνοθέτου καὶ
ἱερέως βασιλέως Εὐμένου Νικοτέλους,
ἔδοξεν τῷ κοινῷ τῶν περὶ τὸν Διόνυσον τεχνι-
τῶν τῶν ἐπ’ Ἰωνίας καὶ Ἑλλησπόντου καὶ τῶν πε[ρὶ]
5   τὸν καθηγεμόνα Διόνυσον· ἐπειδὴ Κράτων Ζωτίχου
αὐλητὴς εὐεργέτης ἔν τε τῷ πρότερον χρόνῳ τὴ[ν]
πᾶσαν σπουδὴν καὶ πρόνοιαν εἶχεν τῶν κοινῇ συμφε-
ρόντων τῇ συνόδῳ, καὶ τιμηθεὶς ἀξίως ὧν εὐεργέτη-
κεν ὑπερτίθεται τῇ εὐνοίᾳ καὶ φιλοτιμίᾳ τῇ εἰς τοὺς
10 τεχνίτας, πάντα πράττων τὰ συμφέροντα· δεδόχθαι
τῷ κοινῷ τῶν περὶ τὸν Διόνυσον τεχνίτων ἐπαινέσαι
μὲν Κράτωνα Ζωτίχου αὐλητὴν εὐεργέτην ἐπὶ τῷ τὴν
αὐτὴν ἔχειν αἰεὶ προαίρεσιν τῆς εὐεργεσίας τῆς εἰς
ἅπαντας τοὺς τεχνίτας, προσδοῦναι δὲ αὐτῷ πρὸς
15 ταῖς προϋπαρχούσαις τιμαῖς ἀνακήρυξίν τε στεφά-
νου τοῦ ἐκ τοῦ νόμου, ἣμ ποιήσεται αἰεὶ ἐν τῷ θεάτρῷ ὁ
ἑκάστοτε γινόμενος ἀγωνοθέτης καὶ ἱερεὺς βασιλέως
Εὐμένου ἐν τῇ βασιλέως Εὐμένου ἡμέρᾳ ὅταν ἥ τε πομπὴ
διέλθῃ καὶ αἱ στεφανώσεις συντελῶνται· ὁμοίως δὲ
20 καὶ παρὰ τὸν πότον γινέσθω τῇ αὐτῇ ἡμέρᾳ μετὰ τὰς
σπονδὰς ὑπὸ τῶν ἀρχόντων ἡ ἀναγγελία τοῦ στεφάνου.
παρατίθεσθαι δὲ καὶ ἐν ταῖς θέαις καὶ ἐν ταῖς πομπαῖς πα-
ρὰ τὸν ἀνδριάντα τὸν Κράτωνος τὸν ἐν τῷ θεάτρῷ τρίπο-
δά τε καὶ θυμιατήριον, καὶ τῆς ἐπιθυμιάσεως τὴν ἐπιμέλει-
25 αν καθ’ ἕκαστον ἔτος αἰεὶ ποιεῖσθαι τὸν ἀγωνοθέτην καὶ
ἱερέα βασιλέως Εὐμένου γινόμενον.B Ἔδοξεν τῷ κοινῷ τῶν συναγωνιστῶν· Ἐπειδὴ Κράτων
Ζωτίχου Καλχηδόνιος αὐλητὴς εὔνους ὢν διατε-
λεῖ τῷ κοινῷ τῶν συναγωνιστῶν, καὶ λέγων καὶ
πράττων αἰεὶ τὰ συμφέροντα τοῖς συναγωνισταῖς,
5   ἱερεύς τε αἱρεθεὶς πρότερον τὴν πᾶσαν ἐπιμέλειαν
ἐποιήσατο, τάς τε θυσίας συνετέλεσεν πάσας, ὁσί-
ως μὲν τὰ πρὸς τοὺς θεοὺς καὶ τοὺς βασιλεῖς, καλῶς
δὲ καὶ ἐνδόξως τὰ πρὸς πάντας τοὺς συναγωνιστάς,
οὔτε δαπάνης οὔτε φιλοτιμίας οὐθὲν ἐλλείπων, καὶ
10 νῦν δὲ ἀγωνοθέτης γενόμενος καλῶς τῶν ἀγώνων
προστὰς καὶ τοῖς νόμοις ἀκολουθήσας αἰείμνηστον
τοῖς ἐπιγινομένοις κατέλιπεν τὴν ἀρχήν· ἵνα οὖν καὶ
οἱ συναγωνισταὶ ἐμ παντὶ καιρῶι φαίνωνται τιμῶντες
τοὺς ἐξ ἑαυτῶν, δεδόχθαι τῶι κοινῶι τῶν συναγωνισ-
15 τῶν στεφανοῦν Κράτωνα Ζωτίχου Καλχηδόνιον διὰ
βίου ἔν τε τῶι κοινῶι δείπνωι τῶν συναγωνιστῶν καὶ ἐν
τῶι θεάτρωι, ποιουμένους τὴν ἀναγόρευσιν τήνδε·
“τὸ κοινὸν τῶν συναγωνιστῶν στεφανοῖ Κράτωνα Ζωτίχου
Καλχηδόνιον στεφάνωι τῶι ἐκ τοῦ νόμου ἀρετῆς ἕνεκεν
20 καὶ εὐνοίας, ἧς ἔχων διατελεῖ εἰς τοὺς συναγωνισ-
τάς.” τῆς δὲ ἀναγγελίας τῆς τοῦ στεφάνου ἐπιμε-
λεῖσθαι τοὺς ἄρχοντας τοὺς κατ’ ἐνιαυτὸν αἱρου-
μένους. ἵνα δὲ καὶ τοῖς ἄλλοις πᾶσιν φανεφὰ ἦι εἰς
τὸν ἅπαντα χρόνον ἡ τῶν συναγωνιστῶν εὐχαρισ-
25 τία, ἀναγράψαι τὸ ψήφισμα τόδε εἰς στήλην λιθίνην,
καὶ στῆσαι πρὸς τῶι Διονυσίωι ἐν τῶι ἐπιφανεστά-
τωι τόπωι· ἀναθεῖναι δὲ αὐτοῦ καὶ εἰκόνα ἐν τῶι Διονυ-
σίωι γραπτὴν τελείαν ἐπιγράψαντας· “τὸ κοινὸν τῶν
συναγωνιστῶν στεφανοῖ Κράτωνα Ζωτίχου Καλ-
30 χηδόνιον ἀρετῆς ἕνεκεν καὶ εὐνοίας τῆς εἰς αὑ-
τοὺς.”

C Τῶν ἐν Ἰσθμῶι καὶ Νεμέαι τεχνιτῶν.
ἐπειδὴ Κράτων Ζωτίχου Περγαμηνὸς αὐλητὴς κύ-
κλιος πρότερόν τε πολλὰς καὶ μεγάλας παρέσ-
χηται χρείας κατ’ ἰδίαν τε τοῖς ἐντυγχάνουσιν
5   [αὐτῶι τῶν ἐν Ἰσθμῶι καὶ Νεμέαι τεχνιτῶν, καὶ]
[κοινῆι – – – ]vvv

2. Delo. Decreto onorario dei technitai per Kraton di Calcedonia

Le Guen 2001 1, n° 45.
Ca. 171 BCE

     Τὸ κ[ο]ινὸν τῶν περὶ τὸν Διόνυσον τεχνιτῶν τῶν ἐπ’ Ἰ[ωνίας]
καὶ Ἑλλησπόντου καὶ τῶν περὶ τὸν καθηγεμόνα Διό̣[νυσον]
Κράτωνα Ζωτίχου εὐεργέτην ἀρετῆς ἕνεκα καὶ ε[ὐνοίας]
ἣν ἔχων διατελεῖ εἰς τὸ κοινὸν τῶν περὶ τὸν Διόνυσον [τεχνιτῶν].
5   Ἔδ[οξε]ν τῶι κοινῶι τῶν περὶ τὸν Διόνυσον τεχνιτῶν τῶν ἐπ’ Ἰωνίας καὶ
Ἑλλη̣σ̣[π]ό[ντου καὶ τῶν περὶ τὸν]
[καθη]γ[ε]μόνα Διόνυσον· ἐπειδὴ Κράτων Ζωτίχου αὐλητὴς πρότερόν τε γε̣νόμενο[ς
ἱερεὺς τοῦ Διονύσου]
[κ]αὶ ἀ[γω]νοθέτης καλῶς καὶ ἐνδόξως προέστη τῆς τε ἱερεωσύνης καὶ
τῆς ἀγων̣[οθεσίας καὶ νῦν δὲ κρι]-
[θε]ὶς ἄξιος εἶναι ταύτης τῆς τιμῆς ὑπὸ τοῦ πλήθους τῶν τεχνιτῶν καὶ
αἱρ̣εθε[ὶς τὸ δεύτερον ἱερεὺς]
[τ]οῦ Διονύσου καὶ ἀγωνοθέτης ἐν τῶι αὐτῶι ἔτει, ὑπερθέμενος
τοὺς π[ρὸ αὐτοῦ γενομένους ἱερέας]
10 [κ]αὶ ἀγωνοθέτας τῆι τε χορηγίαι καὶ τῆι δαπάνηι καὶ τῆι αὐτοῦ
μεγαλοψ[υχίαι καὶ ἀναστραφεὶς πρεπόν]-
τως καὶ ἀξίως τῆς συνόδου πάντα τὰ πρὸς τιμὴν καὶ δόξαν ἀνήκοντα
[ἐπετέλεσεν τῶι τε Διονύ]-
σωι καὶ ταῖς Μούσαις καὶ τῶι Ἀπόλλωνι τῶι Πυθίωι καὶ τοῖς ἄλλοις
θεοῖς πᾶ[σι, ὁμοίως δὲ καὶ τοῖς τε βασι]-
λεῦσι καὶ ταῖς βασιλίσσαις καὶ τοῖς ἀδελφοῖς βασιλέως Εὐμένου καὶ τῶι
[κοινῶι τῶν περὶ τὸν Διόνυ]-
σον τεχνιτῶν, ἀποδεικνύμενος τὴν αὑτοῦ καλοκαγαθίαν καὶ εὐσέβε[ιαν καὶ
φιλοτιμίαν ἐν παντὶ και]-
15 ρῶι καὶ ἰδίαι καὶ κοινῆι ἀεί τινος ἀγαθοῦ παραίτιος γινόμενος· ὅπως δ`ἂ[ν
φανερὰ γίνηται εἰς τὸν ἀεὶ]
χρόνον ἡ παρὰ τῶν τεχνιτῶν ἀθάνατος δόξα, οὓς καὶ θεοὶ καὶ βασιλεῖς
[κ]α[ὶ πάντες οἱ ἄλλοι Ἕλ]-
ληνες τιμῶσιν, δεδωκότες τήν τε ἀσυλίαν καὶ ἀσφάλειαν πᾶσι τ[οῖ]ς τεχν[ί]ται[ς
καὶ πολέμου καὶ εἰ]-
ρήνης, κατακολουθοῦντες τοῖς τοῦ Ἀπόλλωνος χρησμοῖς δι’ οὓς [κ]αὶ
ἀ[γωνίζονται τοὺς ἀγῶνας τοῦ]
Ἀπόλλωνος τοῦ Πυθίου καὶ τῶν Μουσῶν τῶν Ἑλικωνιάδων καὶ τοῦ Διον[ύσου,
ἐν Δελφοῖς μὲν τοῖς]
20 Πυθίοις καὶ Σωτηρίοις, ἐν Θεσπιαῖς δὲ τοῖς Μουσείοις, ἐν Θήβαις δὲ τοῖς Ἀγρ[ιανίοις.
εἷναι δοκοῦντες]
ἐκ πάντων τῶν Ἑλλήνων εὐσεβέστατοι· ἀγαθῆι τύχηι· δεδόχθαι·
ὅπως [οὗν ἡ σύνοδος φαίνηται τιμῶ]-
σα τοὺς αὑτῆς εὐεργέτας καταξίως τῶν εὐεργετημάτων, στεφαν[ο]ῦ[ν μὲν
Κράτωνα Ζωτίχου αὐλη]-
[τ]ὴν εὐεργέτην καθ’ ἕκαστον ἔτος εἰς ἀεὶ ἐν τῶι θεάτρωι ἐν ἧι ἡμέραι ἡ̣
π[ανήγυρις τοῦ κοινοῦ συντε]-
[λ]εῖται μετὰ τὴν στεφάνωσιν τῶν δήμων στεφάνωι τῶι ἐκ τοῦ νόμο[υ ἀρετῆς
ἕνεκεν καὶ εὐ]-
25 [ν]ο̣ίας ἣν̣ ἔχων διατελεῖ εἰς τὸ κοινὸν τῶν περὶ τὸν Διόνυσον τεχνιτῶ[ν·
τῆς δὲ ἀναγγελίας τοῦ στη]-
[φ]άνου ἐπιμέλειαν ποιεῖσθαι τὸν ἑκάστοτε γινόμενον ἀγωνοθέτην·
[ἀναθεῖναι δὲ αὐτοῦ εἰκόνας]
[τ]ρεῖς· τὴν μὲν μίαν ἐν Τέωι ἐν τῶι θεάτρωι. ὅπως οἱ καθ’ ἕκαστον ἔτος
ἀ̣[γωνοθέται ἐν τῆι τοῦ κοινοῦ]
[π]ανηγύρει καὶ ὅταν ἡ Τηΐων πόλις συντελῇ Διονύσια ἢ ἄλλον τιν[ὰ ἀ]γῶν[α
στεφανῶσι τὴν εἰκόνα]
τὴν Κράτωνος στεφάνωι τῶι ἐκ τοῦ νόμου ὧι πάτριόν ἐστι τοῖς τεχν[ίταις
στεφανοῦν τοὺς αὐ]-
30 τῶν εὐεργέτας· τὴν δὲ ἄλλην ἐν Δήλωι ὅπως καὶ ἐκεῖ στεφανῶται
ὑ[πὸ τῶν περὶ τὸν Διόνυσον τε]-
χνιτῶν· τὴν δὲ τρίτην οὗ ἂν ἀναθῇ Κράτων ἵνα εἰς ἅπαντα τὸ(ν)
χρό[νον ὑπάρχη τῆς τε πρὸς]
τὸ θεῖον εὐσεβείας καὶ τῆς εἰς τοὺς βασιλέας καὶ βασιλίσσας φιλοδο[ξίας
καὶ τῆς εἰς (τοὺς) ἀδελφοὺς]
βασιλέως Εὐμένου καὶ τὸ κοινὸν τῶν περὶ τὸν Διόνυσον τεχνιτῶν [εὐνοίας
ὑπόμνημα, ἔτι δὲ]
καὶ τῆι συνόδωι τῆς εὐχαριστίας διότι τὸν αὑτῆς εὐεργέτην [Κράτωνα
Ζωτίχου ἐτίμησεν ἀπο]-
35 διδοῦσα χάριτας τὰς δικαίας τῶν εὐεργετημάτων· ἀναγράψαι [δὲ τὰ δεδομένα τίμια]
εἰς στήλην λιθίνην καὶ στῆσαι παρὰ ταῖς εἰκόσι ταῖς Κράτων[ος·
ἀποστεῖλαι δὲ πρεσβευτὰς]
δύο πρὸς τὸν δῆμον τὸν Τηΐων οἵτινες αἰτήσονται τόπον ἐν τῶι
[θεάτρωι ἐν ὧι σταθήσεται]
ἡ εἰκὼν Κράτωνος καὶ ἄλλους πρὸς τὸν δῆμον τὸν Δηλίων οἵτ[ινες
ἀφικόμενοι εἰς Δῆλον καὶ]
ἐπελθόντες ἐπὶ τὸν δῆμον καὶ τὴν βουλὴν ἀξιώσουσιν Δ[ηλίους φίλους
ὄντας καὶ συγγε-]
40 νεῖς δοῦναι τῆι συνόδωι τῶν τεχνιτῶν τὸν τόπον ἐν ὧι [σταθήσεται
ἡεἰκώνΚράτωνος].

3. Teos. Decreto onorario del koinon degli Attalistai per Kraton di Calcedonia

Le Guen 2001 1:n° 52
Post 146 – ante 138 or 133 BCE

     vacatΨήφισμα Ἀτταλιστῶνvacat
γνώμη τοῦ κοινοῦ τῶν Ἀτταλιστῶν· ἐπειδὴ ὁ <ἱ>ε<ρεὺ>ς
τῆς συνόδου Κράτων Ζωτίχου ἔν τε τῶι ζῆν
πολλὰς καὶ μεγάλας ἀποδείξεις ἐποιεῖτο τῆς πρὸς
5   τοὺς Ἀτταλιστὰς εὐνοίας καὶ κατ’ ἰδίαν ὑπὲρ ἑκάσ-
του καὶ κατὰ κοινὸν τῶν ὑφ’ ἑαυτοῦ συνηγμένων καὶ κει-
μένων, τὴν πλείστην ποιούμενος πρόνοιαν, σπου-
δῆς καὶ φιλοτιμίας οὐθὲν ἐλλείπων, καὶ πολλὰ μὲ{ι}ν
[καλ]ὰ καὶ φιλάνθρωπα τῆι συνόδωι παρὰ τῶν βασιλέων
10 ἐποίησεν, ἀποδεχομένων αὐτῶν τήν τε ἐκείνου
ἅπαντα τρόπον πρὸς ἑαυτοὺς εὔνοιαν καὶ τὴν ἡμετ-
έραν αἵρεσιν καὶ συναγωγὴν ἀξίαν οὖσαν τῆς ἑαυτ-
ῶν ἐπωνυμίας, οὐκ ὀλ<ίγα> δὲ καὶ τῶν ἰδίων ἐπιδιδοὺς καὶ
χορηγῶν διετέλει, βουλόμενός τε τοῖς προϋπηργμένο-
15 ις ἀκόλουθα πράσσειν καὶ μεταλλάσσων τὸν βίον ἐν Πε-
ργάμωι, προενοήθη τῆς συνόδου καὶ γράψας ἐπιστολὴν
πρὸς τοὺς Ἀτταλιστὰς καὶ νόμον ἱερὸν ἀπολιπών,
ὃν ἐξαπέστειλεν ἡμῖν βασιλεὺς Ἄτταλος, ἐπισημο-
τέραν ἐποίησεν τὴν ὑπάρχουσαν ἐς τὴν σύνοδον εὔνοια-
20 ν, δι’ ὃν τό τε Ἀττάλειον τὸ πρὸς τῶι θεάτρωι, ὃ καὶ
ζῶν καθιερώκει τοῖς Ἀτταλισταῖς, ἀνατίθησιν καὶ τὴν συν-
οικίαν τὴν πρὸς τῶι βασιλείωι τὴν πρότερον οὖσαν Μικ-
ρ<ί>ου, ἀνατίθησιν δὲ καὶ καθιεροῖ τῆι συνόδωι καὶ ἀργυρίου
Ἀλεξανδρείου δραχμὰς μυρίας καὶ πεντακοσίας,
25 ἀφ’ ὧν ἐκ τῆς προσόδου θυσίας τε καὶ συνόδους [πε]ποιή-
μεθα, καθὼς αὐτὸς ἐν τῆι νομοθεσίαι περὶ ἑκάστων
δια<τέ>ταχεν, ἀνατίθησιν δὲ καὶ σώματα τοῖς Ἀτταλισταῖς
<τὰ> περιόντα· ἃ κατὰ μέρος ὑπὲρ ἁπάντων ἐν τῶι καθιερωμέ-
νωι ὑφ’ ἑαυτοῦ νόμωι δεδήλω<κ>εν· ἀ<πέ>λιπεν δὲ καὶ τὰ
30 πρὸς <σ>υσ<κ>ή<νω>σιν ἐν τῶι τεμένει χρηστήρια ἱκανά, παρ-
αλῦσαι βουλόμενος καὶ τῆς εἰς ταῦτα δαπάνης καὶ χορη-
γίας τοὺς Ἀτταλιστάς· ἵνα οὖν καὶ ἡ σύνοδος τῶν Ἀττα-
λιστῶν ἀξίας φαίνηται τοῖς εὐεργέταις ἀπονέμουσα
χάριτας, δεδόχθαι τοῖς Ἀτταλισταῖς κυρῶσαι μὲν τὸν
35 ἱερὸν νόμον τὸν ἀπολελειμμένον ὑπὸ Κράτωνος, συν[τε]-
[λεῖσθαι δ]ὲ ἐπωνύμους ἡμέρας Κράτωνός τε καὶ [ – – -]
– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –

4. Teos. Legge sull’educazione dei fanciulli

CIG 3059 + p. 1125
Prima metà II sec. BCE

     [— ἀπο]δείκνυσθαι δὲ [καὶ μετὰ τὴν]
[τοῦ γυ]μνασιάρχου αἵρεσιν παιδονόμον μὴ νεώτερ[ον]
[ἐτῶ]ν τεσσαράκοντα· ἵνα δὲ πάντες οἱ ἐλεύθεροι παῖδες πα[ι]-
[δε]ύωνται καθότι Πολύθρους Ὀνησίμου προνοήσας ἐπηγγείλ[α]-
5   το τῶι δῆμωι κάλλιστον ὑπόμνημα τῆς ἑαυτοῦ φιλοδοξίας
κατατιθέμενος, ἐπέδωκεν εἰς ταῦτα δραχμὰς τρισμυρίας
τετράκις χιλίας, ἀποδείκνυσθαι καθ’ ἕκαστον ἔτος ἐν ἀρχ[αι]-
ρεσίαις μετὰ τὴν τῶν γραμματέων αἵρεσιν γραμματοδιδασκ[ά]-
λους τρεῖς οἵτινες διδάξουσιν τοὺς παῖδας καὶ τὰς παρθέ-
10 νους· δίδοσθαι δὲ [τ]ῶι μὲν ἐπὶ τὸ πρῶτον ἔργον χειροτονηθέντ[ι]
τοῦ ἐνιαυτοῦ δραχμὰς ἑξακοσίας, τῶι δὲ ἐπὶ τὸ δεύτερον δραχμὰ[ς]
πεντακοσίας πεντήκοντα, τῶι δὲ ἐπὶ τὸ τρίτον δραχμὰς πεντακο-
σίας· ἀπο<δεί>κνυσθ<α>ι δὲ καὶ παιδοτρίβας δύο, μισθὸν δ’ αὐτῶν ἑκα-
τέρωι δίδοσθαι τοῦ ἐνιαυτοῦ δραχμὰς πεντακοσίας. ἀπο-
15 δείκνυσθ<α>ι δὲ κιθαριστὴν ἢ ψάλτην, μισθὸν δὲ δίδοσθαι τῶι
χειροτονηθέντι τοῦ ἐνιαυτοῦ δραχμὰς ἑπτακοσίας· οὗτος δὲ
διδάξει τούς τε παῖδας οὓς ἂν καθήκηι εἰς τοὐπιὸν ἐκκ[ρ]ίνεσθαι [καὶ]
τοὺς τούτων ἐνιαυτῶι νεωτέρους τά τε μουσικὰ καὶ κιθαρίζειν ἢ ψάλλειν,
τοὺς δὲ ἐφήβους τὰ μουσικά· περὶ δὲ τῆς ἡλικίας τῶν παίδων τούτων ἐπι-
20 κρινέτω ὁ παιδονόμος· προ̣σδίδοσθαι δὲ καὶ ἐὰν ἐμβόλιμον μῆνα ἄγωμεν τὸ
ἐπιβάλλον τοῦ μισθοῦ τῶι μηνί. ὁπλομάχον δὲ καὶ τὸν διδάξοντα
τοξεύειν καὶ ἀκοντίζειν μισθού<σ>θωσαν ὅ τε παιδονόμος καὶ ὁ γυμνασί-
αρχος ἐπ’ ἀναφορᾶι τῆι πρὸς τὸν δῆμον· οὗτοι δὲ διδασκέτωσαν τούς
τε ἐφήβους καὶ τοὺς παῖδας οὓς καὶ τὰ μουσικὰ μανθάνειν γέγραπται,
25 διδόσθω δὲ μισθὸς τῶι μὲν τοξεύειν καὶ ἀκοντίζειν διδάσκοντι δρα-
χμαὶ διακόσιαι καὶ πεντήκοντα, τῶι δὲ ὁπλομάχωι δραχμαὶ τριακόσιαι·
ὁ δὲ ὁπλομάχος διδάξε<ι> χρόνον οὐκ ἐλάσσονα μηνῶν δύο· ὅπως δὲ ἐπι-
μελῶς ἐν τοῖς μαθήμασιν γυμνάζωνται οἵ τε παῖδες καὶ οἱ ἔφηβοι
τὸν παιδονόμον καὶ τὸν γυμνασίαρχον ἐπιμελεῖσθαι καθότι ἑκατέρωι
30 αὐτῶν προστέτακται κατὰ τοὺς νόμους· ἐὰν δὲ οἱ γραμματοδιδάσκα-
λοι ἀντιλέγωσιν πρὸς αὑτοὺς περὶ τοῦ πλήθους τῶν παίδων, ἐπικρινά-
τω ὁ παιδονόμος, καὶ ὡς ἂν οὗτος διατάξηι πειθαρχείτωσαν· τὰς δὲ ἀπο-
δείξεις ἃς ἔδει γίνεσθαι ἐν τῶι γυμνασίωι ποιεῖσθαι τοὺς γραμματοδι-
δασκάλους καὶ τὸν τὰ μουσικὰ διδάσκοντα ἐν τῶι βουλευ[τηρίωι. —]
35 [—]
[—]ημερ[—]
[․․․․9․․․․]οντα[․․6․․․] τὴν ζημίην ἐὰν μὴ καταβάλωσι, ἀν[αγκά]-
[ζειν ἐξέσ]τω αὐτούς. περὶ δὲ τοῦ ὁπλομάχου καὶ τοῦ τοξεύειν
καὶ ἀκοντίζειν διδάσκοντος συντελείσθω καθάπερ ἐπάνω
40 γέγραπται. ἢν δὲ οἱ ἐνεστηκότες ταμίαι ἢ οἱ ἑκάστοτε γινόμενοι
μὴ παραδῶσιν τὸ ἀργύριον τοῦτο κατὰ τὰ γεγραμμένα, ἢ ἄλλος τις ἄρχων
ἢ ἰδιώτης εἴπηι ἢ πρήξηται ἢ προθῆι ἢ ἐπιψηφίσηι ἢ νόμον προθῆι ἐναντίον τού-
τωι ἢ τοῦτον τὸν νόμον ἄρηι τρόπωι τινὶ ἢ παρευρέσει ἡιοῦν ὡς δεῖ τὸ ἀργύρι-
ον κινηθῆναι ἢ μὴ ἀναλίσκεσθαι ἀπ’ αὐτοῦ εἰς ἃ ὁ νόμος συντάσσει, ἢ ἄλλ[ηι που]
45 καταχωρισθῆναι καὶ μὴ εἰς ἃ ἐν τῶιδε τῶι νόμωι διατέτακται, τά τε πραχθέν-
τα ἄκυρα ἔστω, καὶ οἱ μετὰ ταῦτα ταμίαι καταχωριζέτωσαν εἰς τὸν λόγον κατὰ
τὸν νόμον τό<ν>δε τὸ πλῆθος τῶν χρημάτων τὸ ἴσον ἐ[κ τῶ]ν τῆς πό[λεως πρ]οσό-
δων καὶ τἄλλα πάντα συντελείτωσαν κατὰ τὸν νόμον τόνδε, [ὁ δὲ εἴ]πας ἢ [πρή]-
[ξ]ας τι παρὰ τόνδε τὸν νόμον ἢ μὴ ποιήσας τι τῶν προστεταγμένων ἐν τῶι
50 νόμωι τῶιδε ἐξώλης εἴηι καὐτὸς καὶ γένος τὸ ἐκείνου καὶ ἔστω ἱερόσυλος, καὶ συν-
τελείσθω πάντα κατ’ αὐτοῦ ἅπερ ἐν τοῖς νόμοις τοῖς περὶ ἱεροσύλου γεγραμμ[έναἐστί,]
ὀφειλέτω δὲ καὶ τῆι πόλει ἕκαστος τῶν πρηξάντων τι παρὰ τόνδε τὸν νόμον
περὶ τοῦ ἀργυρίου τούτου ἢ μὴ ποιούντων τὰ προστεταγμένα δραχμὰς μυρί[ας,]
δικασάσθω δὲ αὐτῶι ὁ βουλόμενος καὶ ἐν ἰδίαις δίκαις καὶ ἐν δημοσίαις καὶ μετὰ
55 τοῦ λόγου τοῦ ἐπιμηνίου τὴν ἀπήγησιν καὶ ἐγ καιρῶι ὧι ἂν βούληται, προθεσμίαι
δὲ μηδὲ ἄλλωι τρόπωι μηθενὶ ἐξέστω τῶν δικῶν τούτων μηδεμίαν ἐγβαλεῖν,
ὁ δὲ ἁλισκόμενος ἐκτινέτω διπλάσιον καὶ τὸ μὲν ἥμισυ ἔστω τῆς πόλεως, ἱερὸν
Ἑρμοῦ καὶ Ἡρακλέους καὶ Μουσῶν, καὶ καταχωριζέσθω εἰς τὸν λόγον τὸν προγε-
γραμμένον, τὸ δὲ ἥμισυ τοῦ καταλαβόντος ἔστω, τὰς δὲ πράξεις τῶν δικῶν τού-
60 των ἐπιτελείτωσαν οἱ εὔθυνοι καθάπερ καὶ τῶν ἄλλων τῶν δημοσίων δικῶν,
ἀναγγελλέτωσαν δὲ οἱ ἑκάστοτε γινόμενοι τιμοῦχοι πρὸς τῆι ἀρᾶι, ὅστις τὸ
ἀργύριον τὸ ἐπιδοθὲν ὑπὸ Πολυθροῦ τοῦ Ὀνησίμου εἰς τὴν παιδείαν τῶν ἐλευθέ-
ρων παίδων <κ>ι<ν>ήσειεν τρόπωι τινὶ ἢ παρευρέσει ἡιοῦν ἢ ἄλληι που καταχωρίσειεν
καὶ μὴ εἰς ἃ ἐν τῶι νόμωι διατέτακτα<ι> ἢ μὴ συντελοίη τὰ συντεταγμένα ἐν τῶι
65 νόμωι, ἐξώλης εἴηι καὶ αὐτὸς καὶ γένος τὸ ἐκείνου.
ἐὰν δὲ οἱ τα[μίαι μ]ὴ δανείσωνται τὸ ἀργύριον κατὰ τὰ γεγραμμένα ἢ μὴἀποδῶσιν τὸ
[κατὰ τόνδε τὸν] νόμον τοῖς καθισταμένοις ἐπὶ τῶν μαθημάτων ὀφειλέτω ἕκασ[τος τ]-
ούτων τῆ[ι πόλει δρα]χμὰς δισχιλίας, δικασάσθω δὲ αὐτῶι [ὁ βου]λόμενος [—]
[— ἁλισκ]όμεν[ος] ἐκτινέτω διπλάσιον, καὶ τὸ μὲν [ἥμισυ —]

Footnotes

[ back ] 1. Essa si sviluppò in particolar modo nel frangente delle vittorie sui Galati: possiamo pensare al grande donario che celebra le gesta di Attalo II presso il fiume Caico (241–238 a.C.) e che è andato perduto, ma di cui ci restano delle copie originali bronzee; il grande altare, commissionato da Eumene II, raffigura la Gigantomachia per alludere alle vittorie ottenute e la saga dell’eroe fondatore Telefo sul fregio.
[ back ] 2. Gazzano 2016:128.
[ back ] 3. Il dossier delle fonti epigrafiche è reperibile in Le Guen 2001 I:n° 33, 44–45, 48–49, 50, 52; Le Guen 2007.
[ back ] 4. Polibio 18.41.8; Strabone 13.623.
[ back ] 5. Livio 42.11.6.
[ back ] 6. Polibio 39.22.
[ back ] 7. La prima testimonianza certa di questa associazione si ha in un’epigrafe di Delfi datata 236/235 a.C., nella quale la confederazione Etolica decise di confermare l’ἀσφάλεια e ἀσυλία ai technitai membri dell’associazione della Ionia e dell’Ellesponto FD III 3, 218. La fondazione del koinon asiatico potrebbe risalire all’inizio del III secolo a.C. e la sua sede era a Teo (SEG II 580).
[ back ] 8. Bussieres 2010:21–22.
[ back ] 9. Le Guen 2001 1:49.
[ back ] 10. In Aneziri 2003:385–386, si propongono argomenti per restringere la datazione, ma la loro validità rimane incerta. Cfr. Le Guen 2001 1:234–235 (n° 45), per un riferimento alla riorganizzazione dei Mouseia di Tespie.
[ back ] 11. Cfr. Scott 2013.
[ back ] 12. Cfr. Gauthier 1972:219–221.
[ back ] 13. In generale, sui privilegi concessi ai technitai vd. Le Guen 2001 2:69–71; Aneziri 2003:243–265.
[ back ] 14. IG II2 1133 (= Le Guen 2001 1:n° 2), 8–19: ὅπως ἦι εἰ]ς πάντ[α χρόνον ἀσυ]λία καὶ ἀτέ[λεια τοῖς τεχνίτα]ις τ[οῖς ἐν Ἀθήναις] καὶ μὴ ἦι ἀ[γ]ώγι[μος μηθεὶς μηθαμόθεν μήτε πολέ]μου μήτε εἰρήνης μήτε [τὰ χρήματα αὐτῶν, ἀλλ’ ἦι] αὐτοῖς ἀτέλεια καὶ ἀσφάλε[ια εἰς πάντα χρόνον ἡ συν]κεχωρημένη ὑπὸ πάντων τῶν Ἑλλ[ήνων βεβαία, εἶναι] δὲ τοῦς τεχνίτας ἀτελεῖς στρατε[ίας πεζικᾶς] καὶ ναυτικᾶς.
[ back ] 15. IG II2 1330 = Le Guen 2001 1:n° 5.
[ back ] 16. Le Guen 2001 1:n° 12E.
[ back ] 17. Le Guen 2001 1:n° 6.
[ back ] 18. Le Guen 2001 1:n° 20.
[ back ] 19. FD III, 2, 48 (= Le Guen 2001 1:n° 14).
[ back ] 20. IG IX I2,175 (= Le Guen 2001 1:n° 38): ἐπὶ Λυκώ[που στρατα]γ̣έοντος τὸ τέταρτον ἔδοξε [τοῖς Αἰτωλοῖς ·ἀπο]δόμεν τοῖς τεχνίταις τάν̣ [τε ἀσφάλεια]ν καὶ τὰν ἀσυλίαν τοῖς ἐπ’ Ἰ[ωνίας καὶ Ἑλλησπό]ντου τοῖς ἐνγεγραμ<μ>ένοις κα[θὼς καὶ τοῖ]ς εἰς Ἰθμὸν καὶ Νεμέαν συνπ[ορευομένοις].
[ back ] 21. Vd. Aneziri 2003:246.
[ back ] 22. Aneziri 2003, D. 4–6.
[ back ] 23. SEG II, 580 (= Le Guen 2001 1:n° 39), ca. 210 a.C.
[ back ] 24. Le Guen 2001 1:n° 47.
[ back ] 25. IG VII 2413 (= Le Guen 2001 1:n° 34); IG IV 2414 (= Le Guen 2001 1:n° 51).
[ back ] 26. Le Guen 2001 1:258–259 (n° 51).
[ back ] 27. Keesling 2017:22, riflette su un dettaglio fondamentale e ormai evidentemente mature nel II secolo a.C. quando Kraton vive: “In order for the honor of a portrait to be effective, the identity of the honor and needed to be displayed clearly for all to see.”
[ back ] 28. Si evita infatti il nominativo affinché non ci sia identificazione tra il defunto e la statua funeraria. Cambiamenti di tendenza in tal senso avverranno, in rari casi, solo a partire dalla metà del V secolo a.C. Lazzarini 1984:84–86.
[ back ] 29. Il termine deriva infatti dal verbo ἀγάλλομαι che significa “rallegrarsi” e indica pertanto il senso di compiacimento provato dalla divinità nel ricevere offerte. Lazzarini 1984:86.
[ back ] 30. Lazzarini 1984:90.
[ back ] 31. È da tenere presente che nella realtà queste rappresentazioni non avevano le caratteristiche fisiognomiche dei singoli atleti; esse puntavano piuttosto a identificarli con gli oggetti della loro disciplina atletica. Lazzarini 1984:88–89.
[ back ] 32. Lazzarini 1984:86.
[ back ] 33. Lazzarini 1984:89–90.
[ back ] 34. Lazzarini 1984:91.
[ back ] 35. Plinio 34. 14–36.
[ back ] 36. Lazzarini 1984:92–98.
[ back ] 37. Keesling 2017:22–23; Lazzarini 1984:94–95; Keesling 2017:23.
[ back ] 38. Guarducci 1987:119.
[ back ] 39. Lazzarini 1984:94.
[ back ] 40. Di Napoli 2017:403.
[ back ] 41. Kadioğlu 2018:11; durante gli scavi del teatro è stata rinvenuta una base di statua in onore di Philistes.
[ back ] 42. Kadioğlu 2018:11; sono venuti alla luce anche pannelli con volti di satiri.
[ back ] 43. Di Napoli 2017:404, 409. Anche in età romana, a parte rari casi (es. benefattori che si erano fatti carico della ricostruzione del teatro), le statue di onorati trovavano posto nell’orchestra e nelle parodoi, non nella scaenae frons, che era generalmente riservata agli imperatori.
[ back ] 44. Kadioğlu 2018:6.
[ back ] 45. Di Napoli 2017:409.
[ back ] 46. IG XI 4, 1079.
[ back ] 47. Cinalli 2017.
[ back ] 48. Un Satyros, sacerdote del koinon di Ionia e di Ellesponto e di Dioniso kathegemon, compare nel decreto di Teo in onore di Kraton [Appendix epigraphica 2.1, A, 1].
[ back ] 49. Musti 1989 (=XII edizione 2017, da cui si cita), 774–777, ma anche Dodds 1960:23.
[ back ] 50. Cfr., e.g. Erodoto 5.92 ε, su Cipselo e i Cipselidi.
[ back ] 51. Bultrighini, Torelli 2017:340–341: non sembra si esprimano sull’autenticità dell’oracolo, limitandosi a constatare una generale positività di Pausania verso i benevoli Attalidi. Nel mondo greco era ampiamente diffuso questo uso degli oracoli, ma gli esempi sarebbero fin troppi, e le implicazioni troppo complesse, per riportarli in questa sede; l’opera erodotea in generale rappresenta l’esempio più ricco; tra i numerosi studi, si veda Fontenrose 1978.
[ back ] 52. Dodds 1960:xviii.
[ back ] 53. Cf. Cardinali 1968:151n1, Hansen 1971:462, e Le Guen 2001 1:265 (n° 52).
[ back ] 54. Le Guen 2007, 274.
[ back ] 55. Cardinali 1968:151n1.
[ back ] 56. “[…] Cosicché appartengano agli Attalistai i drappi e il mobilio, che usavano anche al mio tempo, nove tappeti lanosi rasi [5], nove cuscini poggiagomiti in lino, i più soffici (ovvero trenta?), due mense e due tripodi, una giara di due piedi, un caldaio contenente quattro congi (ovvero 12 litri n.d.r.), un vaso per filtrare, un catino per le coppe e un catino per il pediluvio, un candelabro di bronzo a forma di salpinx, una lucerna di bronzo due lucignoli, [10] un cocchio di ebano, uno scudo e una lancia.”
[ back ] 57. IG II² 1172, 37–39.
[ back ] 58. Si vedano i Fragmenta alchemica de quattuor elementis, editi da M. Berthelot e C. E. Rouelle col titolo di Collection des anciens alchimistes grecs (CAAG), Paris 1887–1888 (4 voll.).
[ back ] 59. Holwerda 1982:175.
[ back ] 60. CIG 2852 (= OGIS 214), 10–21.
[ back ] 61. IG IX 12 3, 670, 1–9.
[ back ] 62. IG II2 1365, 15–18.
[ back ] 63. SB I, 1161, 12–16.
[ back ] 64. IG I3 343–345, 349–351, 353–357 (facevano parte del Tesoro di Atena).
[ back ] 65. IG II2 957, 958, 960, 962, 1126, 1424, 1424a, 1425, 1429.
[ back ] 66. Ricorre, oltre che nella nostra iscrizione, solamente in ID 1403, 1412, 1417, 1423.
[ back ] 67. Syll. 3 309.
[ back ] 68. Le Guen 2007, 254.
[ back ] 69. Ne è sicuro Cardinali 1968:151n1. Cfr. Hansen 1971:460–463, Allen 1983:153, Le Guen 2001 1:263–365 (n° 52).
[ back ] 70. Chaniotis 2003:433.
[ back ] 71. Vd. LSJ, s.v. synoikia.
[ back ] 72. IG XI 2, 135; ID 372 (Delo, fine IV sec. a.C.; 200 a.C.); I.Eleusis 176 (Eleusi, fine IV sec. a.C.).
[ back ] 73. Lorber, Hoover 2003:59–68.
[ back ] 74. See Le Guen 2001 1:254–264, 262–265; Le Guen 2007:254–256.
[ back ] 75. Perrot 2019.
[ back ] 76. See CIG 3088 and p. 1125, which reports the palmarès of a contest for young boys with competitions in different disciplines.
[ back ] 77. A detailed list of music disciplines recurs in CIG 3088.
[ back ] 78. Robert 1937:9–20.