Alcuni aspetti cultuali dell’aretalogia di Sarapide del poeta Maiistas


1. Introduzione

L’iscrizione su colonna (CE 1 = IG XI 4, 1299) rinvenuta nel corso degli scavi del Sarapieion A di Delo consta di una parte in prosa, narrata in prima persona dal sacerdote Apollonio II (righe 1–29), e di un’aretalogia di Sarapide in versi, composta in terza persona dal poeta Maiistas (righe 30–94). I due testi narrano il medesimo episodio relativo all’introduzione del culto di Sarapide nell’isola: il sacerdote Apollonio, terzo in linea di discendenza da una famiglia di sacerdoti egizi, riceve in sogno l’ordine dal dio Sarapide di costruire un tempio in suo onore ed è costretto ad affrontare un’azione giudiziaria in seguito alle accuse di alcuni non precisati uomini malvagi. In un altro sogno, il dio assicura ad Apollonio la vittoria e, proprio durante il processo, Sarapide agisce bloccando la lingua degli accusatori, i quali, ormai simili a statue, non riescono a pronunciare il loro discorso.
L’iscrizione presenta alcuni aspetti del culto di Sarapide che possono essere approfonditi attraverso il confronto con altre fonti relative al culto del dio.

2. Il sacerdote e gli altri ministri del culto

Al rigo 2 del testo in prosa si precisa che l’iscrizione è stata eseguita κατὰ πρόσταγμα τοῦ θεοῦ: sono molto frequenti a Delo nei tre santuari egizi le dediche in seguito al πρόσταγμα di un dio. [1] Moyer (2008:167) ha osservato che a Delo l’espressione ricorre soprattutto in epigrafi relative a divinità egizie. Nel caso della nostra iscrizione, la stessa colonna su cui leggiamo il testo è da intendersi come esecuzione della volontà del dio. È molto probabile, inoltre, che l’ordine del dio sia stato impartito attraverso un sogno, [2] come sembrerebbe testimoniare la presenza di un ὀνειροκρίτης congiuntamente all’espressione κατὰ πρόσταγμα in un’altra iscrizione rinvenuta a Delo nel Sarapieion C. [3]
Nel testo in prosa, Apollonio II dichiara di discendere da una stirpe di sacerdoti egizi e sottolinea la continuità nelle forme del culto secondo il costume patrio (righe 2–11): il nonno di Apollonio II, Apollonio I, ha introdotto il culto nell’isola giungendo a Delo dall’Egitto [4] con un’immagine del dio; dopo la morte di Apollonio I, il figlio Demetrio ha ereditato il sacerdozio e, per la sua εὐσέβεια, è stato onorato (riga 9: ἐστεφανώθη) da Sarapide con una statua di bronzo. La trasmissione della carica sacerdotale all’interno della stessa famiglia in linea diretta di discendenza si configura come uso tipicamente egizio. Non si conoscono paralleli significativi in ambito prettamente greco: quando, infatti, il sacerdozio è riservato a una determinata famiglia, [5] è da intendersi come prerogativa di un γένος determinato e non come trasmissione della carica di padre in figlio. L’ereditarietà del sacerdozio garantisce una trasmissione ininterrotta nella modalità del rito: nel caso di Apollonio, l’insistenza sulle tre generazioni di sacerdoti è volta a sottolineare l’identità del culto introdotto a Delo con le pratiche cultuali egizie. Il racconto di Apollonio II sembra trovare riscontro nelle ricorrenze epigrafiche: analizzando le iscrizioni provenienti dai tre Sarapieia, si evince che l’ereditarietà della carica fosse prerogativa del sacerdozio di Sarapide nel Sarapieion A: in CE 14:5 il sacerdote Demetrio è molto probabilmente un discendente del fondatore del santuario; il medesimo sacerdote compare anche in altre due iscrizioni (CE 15; CE 15bis) e potrebbe essere il padre di un altro sacerdote di nome Demetrio in un’altra epigrafe (CE 18:4–5 ἐπὶ ἱερέως Δημητρίου τοῦ Δημητρίου).
Anche la dedica di una statua del sacerdote Demetrio all’interno del tempio è da intendersi come uso egizio: Erodoto (2:143:1) testimonia la consuetudine dei sacerdoti di erigere la propria statua colossale in legno quando sono ancora in vita e afferma di aver visto più di trecentoquaranta statue. Nel caso dell’iscrizione di Delo, la dedica della statua è voluta dal dio stesso perché il sacerdote ha servito il dio ἀκολούθως (riga 8), osservando i riti in modo conforme. Bisogna notare tuttavia che, sebbene il rituale descritto sia tipicamente egizio, il linguaggio utilizzato rispecchia quello dei decreti onorari greci [6] sia per il motivo della dedica (riga 9: διὰ δὲ τὴν εὐσέβειαν) sia per l’uso del verbo στεφανοῦν seguito dal dativo dell’oggetto con cui si viene onorati. [7]
Oltre al sacerdote, al rigo 43 sono nominati i θέραπες: molto probabilmente si tratta dei θεραπεύοντες che compaiono in un’altra iscrizione proveniente dal Sarapieion A (CE 2b). I θεραπευταί compaiono anche in una dedica a Nike che, secondo Roussel, sarebbe collegata alla vittoria di Apollonio nel processo di cui si parla nella nostra iscrizione (CE 3 = IG XI 4, 1290):

ὁ ἱερεὺς
Ἀπολλώνιος
καὶ οἱ συμβαλόμενοι
τῶν θεραπευτῶν
Νίκει.

Nel Sarapieion B di Delo, nel secondo secolo a.C., è attestato un κοινὸν τῶν θεραπευτῶν; [8] molto più numerose sono le ricorrenze di θεραπευταί nel Sarapieion C. [9] Il termine indica i fedeli riuniti in un’associazione di natura privata e non ha alcun tipo di legame con il fenomeno delle guarigioni, come invece nel culto di Asclepio: nelle iscrizioni citate, essi offrono doni e contribuiscono a sacrifici e libagioni. Inoltre, quando viene utilizzato il termine κοινόν, esso non indica necessariamente un gruppo organizzato con uno statuto ben preciso. [10] Le associazioni di θεραπευταί nel culto di Sarapide sono attestate anche a Maronea (RICIS 114/0203; RICIS 114/0201; RICISSup I 114/0210), a Cizico (RICIS 301/0401; RICIS 301/0402) e a Magnesia sul Sipilo (RICIS 303/0301–0302). I θεραπευταί sono conosciuti anche nel Sarapieion di Menfi nel secondo secolo a.C. (UPZ 1:8).

3. Il sogno oracolare e l’origine del culto

Una delle caratteristiche peculiari di Sarapide è la comunicazione attraverso il sogno oracolare. Quanto alla nostra iscrizione, sia nel testo in prosa (righe 13–14 ὁ θεός μοι ἐχρημάτισεν κατὰ τὸν ὕπνον) sia nell’aretalogia in versi del poeta Maiistas (dalla riga 55), Sarapide appare in sogno ad Apollonio II per ordinare la costruzione del tempio a lui dedicato. Il sogno oracolare appare legato a Sarapide fin dalle origini: ben conosciuto dalle fonti letterarie è l’episodio in cui Tolomeo I fa trasportare una statua del dio da Sinope in Egitto in seguito a un sogno. [11] Un parallelo significativo con la nostra iscrizione può essere riscontrato, inoltre, in un papiro (P.CairZen 1:59034) il cui episodio è datato al 257 a.C.: un individuo non altrimenti noto, Zoilo di Aspendo, riceve in sogno l’ordine dal dio Sarapide di informare Apollonio, ministro delle finanze di Tolomeo II, della volontà che sia costruito un Sarapieion nel quartiere greco della città. Il sogno è presente anche nell’introduzione del culto di Sarapide a Opunte, nella Locride (IG X 2, 1 255). Negli episodi citati, dunque, il sogno riveste un ruolo fondamentale nell’insediamento del culto del dio in un determinato sito.
Nell’iscrizione, Sarapide appare in sogno ad Apollonio II anche per indicargli il luogo in cui costruire il tempio (riga 55) e per annunciargli la vittoria nel processo (righe 76–77). Il legame di Sarapide con il sogno oracolare è attestato anche nei papiri magici: in Papyri Graecae Magicae 5:447–458 si danno istruzioni per la preparazione di un amuleto raffigurante Sarapide da mettere sotto l’orecchio sinistro quando si va a dormire. Nel Sarapieion di Menfi, in un papiro del secondo secolo a.C. (UPZ 1:84), è attestata la presenza di un ἐνυπνιοκίτης mentre in diverse iscrizioni del Sarapieion C [12] di Delo è attestato un ὀνειροκρίτης. Il ruolo ufficiale di interprete dei sogni non è attestato, però, nelle iscrizioni provenienti dal Sarapieion A; così, nella nostra iscrizione, è il sacerdote stesso a riferire i sogni senza alcun intermediario.
Non sembra che si possa evincere dall’iscrizione un legame con le pratiche incubatorie né una identificazione di Sarapide con Asclepio. [13]

4. Gli epiteti di Sarapide

Al rigo 30 il dio viene invocato come πολύαινoς: le ricorrenze di tale aggettivo dimostrano che esso è attribuito in modo esclusivo a Odisseo nei poemi omerici e non si hanno attestazioni in altri autori. [14] La glossa corrispondente di Esichio spiega: πολύαινε‧ πολλοῦ ἐπαίνου ἄξιε ἤ πολύμυθε. Al rigo 94 il poeta invoca il dio come πολύυμνε Σάραπι: questo epiteto, con significato analogo a πολύαινoς, è ben attestato negli Inni omerici e nei tragici. [15] Nei Papiri Magici, Sarapide viene invocato come πολύυμνητε (Papyri Graecae Magicae 13:618). Gli aggettivi formati con πολυ- sono molto frequenti negli Inni orfici e negli Inni magici ed esprimono la volontà di celebrare il dio nel modo più completo e adeguato possibile.
Al rigo 33 Sarapide e Iside sono definiti σαώτορες. Le attestazioni di questo epiteto in riferimento a Sarapide e Iside sono abbastanza frequenti: [16] a Delo l’aggettivo ricorre in un’altra iscrizione proveniente dal Sarapieion C (CE 49 = IG XI, 4:1253): Ἀνούβι Ἡγεμόνι, Σαράπι/ Σωτῆρι, Ἴσι Σωτε[ί]ραι/ Ἀπολλώνιος Χαρμίδου/ σινδονοφόρος, /κατὰ πρόσταγμα τοῦ θεοῦ. A Menfi, luogo d’origine di Apollonio I, il dio è invocato come unico soccorritore nelle difficoltà (UPZ 52:8–9 οὐθένα ἔχωμεν βοιηθὸν ἀλλʼ ἢ σὲ καὶ τὸν Σάραπιν). In una iscrizione di Roma (RICIS: 501/0145) un neokoros effettua una dedica al dio ἐκ μεγάλων κινδύνων πολλάκις σωθείς. L’aspetto della salvezza, nella nostra iscrizione, non è legato a quello della salute fisica: l’epiteto si può spiegare in relazione all’episodio finale in cui Sarapide salva Apollonio II durante il processo. In altre iscrizioni si chiede al dio di concedere la vittoria. [17]
Sarapide è invocato come μάκαρ al rigo 93: l’epiteto è riferito al dio anche in altri due testi provenienti dall’Egitto. [18]

5. Gli arredi cultuali

Nell’inno del poeta Maiistas alle righe 63–65 sono menzionati gli edifici e gli arredi sacri:

vειὸς ἀέξετο καὶ θυόεντες
βωμοὶ καὶ τέμενος, τετέλεστο δὲ πάντα μελάθρωι
ἕδρανά τε κλισμοί τε θεοκλήτους ἐπὶ δαῖτας.

Stando a Englemann (1975:42), i θυόεντες βωμοί farebbero riferimento all’uso di bruciare profumi, molto comune nei culti delle divinità egizie. Hellmann (1992:78), sottolineando che la distinzione tra βωμός e θυμιατήριον spesso non sia così netta, ritiene che possa trattarsi di θυμιατήρια con l’aspetto di piccoli altari, come quelli rinvenuti nel Sarapieion B di Delo.

Gli ἕδρανά κλισμοί τε θεοκλήτους ἐπὶ δαῖτας sembrano essere connessi ai banchetti cultuali ben attestati nel culto di Sarapide. In un’iscrizione rinvenuta nei pressi del Sarapieion B (IG XI 4, 1223) e datata al 196 a.C. gli ἐρανισταὶ dedicano alcuni κλῖναι a Sarapide, Iside, Anubi e συννά̣[οις] καὶ συμβώμοις. L’esistenza di κλῖναι di Sarapide, intese come banchetti, è ben attestata nei papiri egizi nei primi secoli d.C.: l’ipotesi più attendibile, avanzata da Youtie (1948:13–14), è che si tratti di banchetti in cui Sarapide è presente nei due significati fondamentali di ospite, poiché il dio contemporaneamente invita al banchetto e partecipa magicamente allo stesso attraverso la propria immagine. L’aspetto duplice dell’ospitalità di Sarapide trova conferma in un passo di Elio Aristide (Εἰς τὸν Σάραπιν 27 II p. 360 Keil), in cui il dio compare come δαιτύμων e come ἑστιάτωρ e come ὁμόσπονδός τε καὶ ὁ τὰς σπονδὰς δεχόμενος.
Le attestazioni dei banchetti di Sarapide diventano molto frequenti nella tarda età ellenistica e in epoca romana. In un’iscrizione datata al 180–193 d.C., il banchetto di Sarapide viene ordinato attraverso dei sogni (SEG 51:2132 righe 1–7):

[Οὐέττ]ις Κρισπῖνος στρα-
[τιώτ]ης χώρτης αʹ Λυ<σι>τα-
[νῶν] (ἑκατονταρχίας) Σερήνου ἐν ὀνίροις
[τοῦ κ]υρίου Σεράπιδος
[καὶ ε]ὐχαριστήσας ἐποίησα
[. . . . .] ἐπ’ ἀγαθῷ.

6. Il prodigio di Serapide e le tabellae defixionum

Alcuni non precisati uomini malvagi (righe 23–25 e 64–72) intentano un processo ad Apollonio: la motivazione dell’accusa non è specificata né da Apollonio II né da Maiistas poiché entrambi i testi sono incentrati sul prodigio di Sarapide che concede la vittoria al sacerdote, il quale ha prestato servizio e compiuto i riti in modo degno. Il fatto che non venga dichiarato in modo esplicito il motivo della contesa pone il conflitto su un livello superiore di lotta tra il bene e il male, di cui sono testimonianza gli aggettivi utilizzati per le due parti. Nel testo in versi, infatti, Iside e Sarapide sono salvatori (σαώτορες) degli uomini ἐσθλοί (riga 33), i quali κατὰ πάντα νόωι ὅσια φρονέουσιν (riga 34). Al contrario, il motivo per cui questi uomini κακοί accusano il sacerdote viene individuato nel κακὸς φθόνος [19] che li induce alla follia (riga 66).
Durante il processo, avviene il prodigio di Sarapide. Il dio paralizza le lingue degli accusatori in modo che non possano pronunciare il loro discorso, rendendoli simili a statue (righe 85–90):

φῶτας γὰρ ἀλιτρο<νό>ους ἐπέδησας
οἵ ῥα δίκην̣ πόρσυνον, ἐνὶ γναθμοῖς ὑπανύσσας
γλῶσσαν ἀναύδητον τῆς οὔτ’ ὄπιν ἔκλεεν οὐθεὶς
οὔτε γ<ρ>άμμα δίκης ἐπιτάρροθον· ἀλλ’ ἄρα θείως
στεῦντο θεοπληγέσσιν ἐοικότας εἰδώλοισιν
ἔμμεναι ἢ λάεσσιν

L’uso del verbo ἐπιδεῖν richiama il linguaggio delle tabellae defixionum, in cui il verbo καταδεῖν è frequentemente utilizzato per esprimere l’intenzione di immobilizzare la parte del corpo in questione e, di conseguenza, impedire all’avversario di compiere una determinata azione. Spesso nelle tabellae di ambito giudiziario si chiede alle divinità ctonie di bloccare la mente, la lingua e l’anima della parte avversa, in quanto ritenute necessarie per poter pronunciare il discorso in tribunale.

Un esempio tra molti è una tabella rinvenuta in Attica (IG III Appendix 66), appartenente all’inizio del IV secolo a.C. (lato A), in cui il verbo καταδεῖν è utilizzato per legare la lingua e le facoltà dell’avversario e dei suoi σύνδικοι:

καταδῶ Εὐάρατον·
καὶ ὅσοι σύνδικοι κ-
αὶ Τελεσῖνο<ν> τ[ὸ]ν Ἰδιώτο(υ) καὶ τὴν ψυχὴν κατ-
αδῶ Ἰδι<ώ>το(υ), γλῶτταν κα[ὶ] αὐτόν : μετ’ Ε-
ὐαράτο(υ) σ<υ>νπράττωσι καὶ ὅσοι ἂν σ-
<ύ>νδικος μετ’ Εὐαράτο(υ) καὶ το(ὺ)ς Εὐ-
αράτο(υ) καὶ τὴν ψυχὴν καὶ γλῶτ-
ταν.

È ormai opinione comune che le defixiones iudiciariae siano state compilate anteriormente al processo con l’intenzione di impedire al teste di effettuare la propria deposizione. Le circostanze dei processi in questi testi spesso non sono chiare ma sembra abbastanza evidente che la defixio sia commissionata da chi si sente minacciato dall’esito del procedimento giudiziario e ricorra pertanto a mezzi sovrannaturali per ottenere una conclusione favorevole. [20]

Anche l’effetto di rendere gli avversari simili a statue, dunque oggetti inanimati, trova riscontro nelle tabellae, in cui spesso si chiede che la lingua diventi μόλυβδος così come il materiale su cui è inciso il testo. [21]
Le analogie tra l’episodio narrato dal poeta Maiistas e il linguaggio delle defixiones sono abbastanza evidenti; le differenze, tuttavia, sono di non poco conto. Se il miracolo di Sarapide realizza le richieste comuni a molte defixiones, del tutto diverso è l’atteggiamento di Apollonio II rispetto a coloro che hanno commissionato le tabellae. Apollonio II non cerca infatti di costringere la divinità ma chiede aiuto al dio, tramite la preghiera, dopo aver subito un’ingiustizia. L’atteggiamento di Apollonio rifletterebbe la concezione di Sarapide come garante di giustizia, connaturata al dio fin dall’introduzione del culto in Egitto, come conseguenza della stretta correlazione tra il dio e la dinastia tolemaica. Sarebbe pertanto più giusto confrontare l’aretalogia di Sarapide con quelle che sono state definite da Vernesl judicial payers o prayers for legal help, [22] che mostrano notevoli punti di contatto con le ἐντεύξεις del periodo tolemaico.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che la situazione dell’imputato o del teste che non riesce a pronunciare il proprio discorso in tribunale è ben conosciuta anche dalle fonti letterarie: a questo proposito appare abbastanza significativo un passo di Aristofane Vespe 946–948:

οὔκ, ἀλλ’ ἐκεῖνό μοι δοκεῖ πεπονθέναι,
ὅπερ ποτὲ φεύγων ἔπαθε καὶ Θουκυδίδης·
ἀπόπληκτος ἐξαίφνης ἐγένετο τὰς γνάθους.

Gli scholia vetera ad Aristofane (p. 151 Koster) spiegano che il riferimento sarebbe a un processo subito da Tucidide di Melesia, il quale non riuscì a pronunciare il suo discorso di difesa come se avesse la lingua legata.

Il confronto tra la nostra iscrizione e il passo di Aristofane citato è interessante per la terminologia utilizzata: in entrambi i testi si menzionano le mascelle (Aristofane Vespe 948: γνάθους; IG XI 4, 1299 riga 86 γναθμοῖς) e si utilizza un composto del verbo πλήσσω (Aristofane Vespe 948: ἀπόπληκτος; IG XI 4, 1299 riga 89 θεοπληγέσσιν). La nozione di “colpire” non è comune nelle tabellae defixionum mentre abbiamo visto che in esse è codificata l’idea di “immobilizzare.” Il passo del poeta Maiistas, come l’intera aretalogia del poeta, riflette un linguaggio letterario: l’aggettivo ἀναύδητος [23] è attestato soprattutto in tragedia, così come γναθμός [24] è forma epica e tragica.

7. Conclusioni

Dai passi dell’iscrizione analizzati emerge che il culto introdotto a Delo da Apollonio I conserva molti aspetti di continuità con il culto egizio attestato a Menfi nei papiri. In questa città, Sarapide, dio antropomorfo e legato alla dinastia tolemaica, si era da tempo distinto da quello del teriocefalo Osiride-Api; proprio il Sarapide ellenizzato viaggia verso Delo insieme ad Apollonio I in forma di statua.
Il sacerdote Apollonio II, nel testo in prosa, sottolinea la discendenza diretta da Apollonio I e, pertanto, da un’antica stirpe sacerdotale di Menfi per affermare una linea di continuità tra il culto di Sarapide della città di provenienza e i riti introdotti nel Sarapieion A di Delo. L’ereditarietà della carica e la dedica della statua del sacerdote sono considerati tipicamente egizi; anche i banchetti rituali citati nell’epigrafe sono ben attestati nei papiri provenienti dall’Egitto, sebbene in epoca posteriore.
La descrizione dei riti sembra però essere filtrata attraverso un linguaggio tipicamente greco: la dedica della statua richiama i decreti onorari mentre l’intera aretalogia di Maiistas esprime, attraverso la lingua epica e tragica, motivi tradizionali del culto nell’Egitto ellenizzato. Gli epiteti con cui Sarapide viene invocato trovano riscontro nei papiri egizi ma πολύαινoς è espressione tipicamente omerica; l’atteggiamento di Apollonio II nei confronti del dio ricorda le ἐντεύξεις del periodo tolemaico e sembra abbastanza lontano dalla logica della costrizione propria dei testi magici. Il prodigio di Sarapide richiama i contenuti delle defixiones ma il poeta Maiistas narra il miracolo attraverso un linguaggio che cerca di riecheggiare i testi letterari più che le tabellae. Maiistas sembra dunque dimostrare una conoscenza non superficiale, sebbene circoscritta, della tradizione letteraria greca.
Quanto alla concezione del dio che emerge dal testo, Sarapide non è ancora il dio guaritore assimilato con Asclepio ma un dio che garantisce la giustizia a coloro che nutrono pensieri santi mentre punisce coloro che sono presi da un’invidia cattiva. L’aspetto della salvezza nell’epigrafe è legato al soccorso nelle difficoltà e non alla salute fisica.
Attraverso la lunga narrazione del prodigio di Sarapide, dunque, il sacerdote Apollonio II e il poeta Maiistas ribadiscono la solidità della propria cultura d’origine e l’autenticità dei riti importati a Delo nel Sarapieion A, probabilmente in contrapposizione agli altri due Sarapieia presenti sull’isola. La conformità del culto di Sarapide del Sarapieion A con quello di Menfi non vuol dire però estraneità al mondo ellenico: il dialogo con le realtà locali di Apollonio II e di Maiistas avviene, infatti, attraverso le espressioni linguistiche e la poesia dei Greci.

Bibliografia

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Footnotes

[ back ] 1. Nel Sarapieion A: CE 4; 6; 11; 16; 16 bis.
[ back ] 2. Nell’iscrizione il dio Sarapide ordina in sogno ad Apollonio di consacrare un Sarapieion (righe 13–14). Per il sogno nel culto di Sarapide si veda il paragrafo 3.
[ back ] 3. CE 169 = ID 2105–2106 Σαράπιδι, Ἴσιδι, / Ἀνούβιδι, / [Κόι]ντος Γαίου/ [κατ]ὰ πρόσταγμα, / διὰ ὀνειροκρίτου/ Μηνοδώρου/ τοῦ Ἀγίου/ Νικομηδέως, /ἐπὶ ἱερέως /Λέοντος / τοῦ Ἀγαθάρχου / Μαραθωνίου.
[ back ] 4. Nell’aretalogia in versi del poeta Maiistas si specifica che il culto introdotto a Delo da Apollonio I proviene da Menfi (riga 38). L’unione del culto di Sarapide con quello di Iside è testimoniata a Menfi dal terzo secolo a.C. (OGIS 64).
[ back ] 5. A tal proposito si veda lo studio di Feaver 1957:121–158.
[ back ] 6. Tra i numerosi esempi, possiamo citare il decreto per i sacerdoti e gli hieropoioi in IG II³1, 416 (righe 20–23): φιλοτιμίας ἕνεκα τῆς πρὸς τὴν βουλὴν καὶ εὐσεβείας τῆ/ς πρὸς τοὺς θεοὺς καὶ στεφανῶσαι [ἕκ]αστον αὐτῶν χρυσῶι / στεφάνωι.
[ back ] 7. La formula στεφανῶσαι εἰκόνι presuppone il passaggio di στεφανοῦν al valore generico di “onorare.”
[ back ] 8. CE 3 = IG XI 4, 1226
[ back ] 9. CE 41 = IG XI 4, 1215; CE 42 = IG XI 4, 1062; ID 1403; ID 1416; CE: 213–228 = ID 1417; CE: 229–230 = ID 1434; CE 175d = ID 2620
[ back ] 10. Gasparini e Veymiers 2018:259.
[ back ] 11. Tacito Storie 4:83–84; Plutarco Su Iside e Osiride 28 (361F–362A).
[ back ] 12. CE 64= ID 2071; CE 119= ID 2072; CE 120= ID 2073; CE 201= ID 2110.
[ back ] 13. L’identificazione di alcuni aspetti di Sarapide con quelli di Asclepio non avviene prima del primo secolo a.C. Sull’argomento si veda Renberg 2017:329–392.
[ back ] 14. Iliade 9:673; 10:544; 11:430; Odissea 12:184.
[ back ] 15. Inni omerici 26:7; Euripide Ione 1074. Si veda il contributo di J. Khalil in questa Issue.
[ back ] 16. A tal proposito si veda l’elenco in Bricault 1996:119–120.
[ back ] 17. SEG 35:1051; 15:619.
[ back ] 18. In Bricault 1996:113.
[ back ] 19. Nelle iscrizioni magiche e augurali il dio Sarapide sconfigge φθόνος, inteso spesso in questi testi come malocchio (IG XIV 2413, 4): νικᾷ / ὁ Σέρ/απις / τὸν φ/<θ>όνο/ν.
[ back ] 20. Ottone 1992:40.
[ back ] 21. Si veda, ad esempio, IG III Appendix 97 righe 15–24: [ἔ]λαβον καὶ ἔδησα τὰς / [χε]ῖρας καὶ τοὺς πόδας καὶ / [τὴ]ν γλῶσσαν καὶ τὴν ψυχ/ὴν καὶ εἴ τι μέλλουσιν / ὑπὲρ Φίλωνος ῥῆμα μοχθ/ηρὸν ἢ πονηρὸν φθένγεσθαι / ἢ κακόν τι ποῆσαι, ἡ γ[λ]ῶσ/σα αὐτῶν καὶ ἡ ψυχὴ μόλυ/βδος γένοιτο καὶ μὴ δύναιντο /φθένγεσθα[ι] μηδὲ ποῆσαι.
[ back ] 22. Versnel 1997:60–104.
[ back ] 23. Euripide Ione 783.
[ back ] 24. Omero Iliade 17:617, Odissea 18:29; Euripide Medea 1201.