I culti di origine egiziana a Delo: Installazione, permanenza durante la dominazione ateniese (166–69 a.C.) e caratteri peculiari


Il pubblico colto non specializzato può rimanere sorpreso nell’osservare come spesso le più antiche chiese cristiane siano state fondate, in epoca tardo-antica, su precedenti templi di Iside, l’antica divinità egiziana, estranea però alla religione olimpica greco-romana. Il culto di Serapide, una divinità che ereditava i tratti di Osiride ma anche quelli di Ade e di Zeus, era stato introdotto da Tolemeo I in Alessandria per favorire l’integrazione della classe dirigente macedone con la popolazione epicoria. Il culto, subito associato a quello di Iside, si era presto stabilito anche a Delo e poi in altre aree della Grecia e d’Italia.
Lo studio del patrimonio epigrafico delio permette di apprezzare sotto numerosi punti di vista le ragioni di questo successo così rilevante dal punto di vista della storia religiosa del mondo greco-romano.

L’installazione (III sec.–180 c. a.C.)

Sull’arrivo dei culti di origine egiziana a Delo possediamo qualche informazione di età antica grazie alla lunga iscrizione (IG XI 4 1299) pervenutaci su di una stele rinvenuta nell’area presso il serbatoio inferiore del fiume Inopo, afferente al più antico dei tre Sarapieia delî (A). [1] Il testo dell’iscrizione [2] si suddivide in due parti che narrano—la prima in prosa ad opera del sacerdote fondatore del tempio, la seconda in poesia ad opera del poeta Maiistas—la medesima vicenda dell’edificazione del tempio.
Dall’iscrizione, veniamo a sapere che un certo Apollonio (I), sacerdote menfita, era immigrato a Delo con una statua di Serapide. A lui era succeduto il figlio Demetrio (I) cui, a sua volta, era succeduto il nipote Apollonio (II) che aveva acquistato il terreno ed edificato in sei mesi il Serapeo. L’azione, ispirata da numerose apparizioni in sogno di Serapide, era stata denunziata e una corte aveva decretato, grazie all’intervento prodigioso dello stesso Serapide che aveva ammutolito gli avversari, la legittimità dell’operazione condotta da Apollonio II (si veda il contributo di Palombi in questa Issue). In effetti, il luogo prescelto—“pieno di sudiciume” (κοπροῦ μεστός IG XI 4 1299, 19)—si trovava in una delle aree più prestigiose di Delo [3] e questo poteva aver suscitato malumori da parte di alcuni. [4]
L’iscrizione è datata, unicamente su base paleografica, all’ultimo quarto del III sec. a.C., il che permette di far risalire l’arrivo di Apollonio I e l’installazione del culto di Serapide a Delo alla prima metà di quel secolo. [5] In tale periodo Delo era ancora protettorato egiziano, il culto perciò avrebbe potuto essere supportato dalla propaganda religiosa tolemaica. Non si potrà tuttavia parlare di una diretta iniziativa lagide. In effetti, Engelmann [6] giustamente osserva che se tale supporto ci fosse stato Serapide non avrebbe atteso così a lungo un tempio a lui dedicato. Anche Bruneau [7] notava che nessuno dei Lagidi aveva compiuto a Delo un’oblazione agli dèi egiziani; osservava, inoltre, che se i Lagidi avessero preteso il patronato sul culto di Serapide, Callimaco vi avrebbe fatto qualche allusione nell’Inno a Delo, che pare essere stato recitato sull’isola e in cui il poeta non esita ad inserire uno sviluppo propagandistico sui meriti di Tolemeo II.
Dunque, come sintetizza Roussel, [8] dopo che Serapide fu venerato per più di mezzo secolo presso la privata abitazione di una famiglia di origine egiziana di sedicente stirpe sacerdotale, a cavallo fra III e II secolo si volle edificare un santuario a occidente del serbatoio inferiore dell’Inopo. Poco tempo dopo, non lontano da questo primo Serapeo (A), sulla riva destra del fiume, fu fondato un secondo santuario (B). [9] Nello stesso periodo, un terzo Serapeo (C) [10] fu edificato su una terrazza a nord-ovest del Monte Cinto ove il culto guadagnò carattere ufficiale. [11] È possibile che i Delî, non avendo potuto impedire il culto privato in mano ad una famiglia di origine straniera che si svolgeva nel Serapeo A, abbiano inteso fargli concorrenza [12] con un culto ufficiale in un luogo diverso e molto più ampio, [13] comprensivo di portici e di un dromos, dove le divinità principali (Serapide, Iside ed Anubi) goderono ciascuna di un proprio edificio. [14]

La dominazione ateniese (166–69 a.C.)

L’epoca della dominazione ateniese, come argomentato da Bruneau, [15] è caratterizzata da un aumento dell’immigrazione straniera con importanti riflessi dal punto di vista religioso. I Delî, nel periodo della loro indipendenza (314–166 a.C.), avevano accettato con molte riserve, come documentato dall’iscrizione voluta da Apollonio II, solamente i culti di origine egiziana e probabilmente quelli siriani. [16] Nel periodo ateniese fiorirono invece culti fenici, palestinesi, ebraici, arabi e italici, benché spesso di natura privata. Si verifica anche una forma di sincretismo per cui alcune divinità elleniche (Apollo, Zeus, Poseidone, Afrodite, Asclepio, Eracle) tesero ad identificarsi con gli dèi stranieri con cui erano permanentemente in contatto. Per comprendere i processi religiosi in atto è rilevante sottolineare come già dall’epoca dell’indipendenza delia alcune divinità quali Latona ed Era, pur ricevendo un culto pubblico, fossero ormai prive della devozione dei singoli individui; la venerazione verso altre divinità fu invece supportata dal parziale mutamento delle loro personalità agevolato dal sincretismo con gli dèi orientali.
Anche in questo periodo il Serapeo A continuò la sua attività sotto la gestione della famiglia sacerdotale di origine egiziana. Ai tempi di un Demetrio (II), probabilmente figlio di Apollonio II, gli Ateniesi, appena giunti, cercarono di fermare la concorrenza del santuario privato; la famiglia sacerdotale di Demetrio II godeva però in Roma di appoggi sufficienti ad ottenerle, già nel 164, un senatoconsulto favorevole che le permise di continuare l’ufficiatura. [17]
Dal Serapeo B non provengono iscrizioni di epoca ateniese ma il fatto che la sua struttura non sembra aver subito rimaneggiamenti pare indicare che il santuario fosse rimasto sede di qualche associazione connessa al culto degli dèi egiziani. [18]
Il terzo Serapeo godé invece di un’eccezionale popolarità: oltre al culto ufficiale reso dagli Ateniesi raccolse la devozione tanto dei Romani quanto dei mercanti alessandrini, microasiatici e fenici. [19] Un sacerdote ateniese ufficiale fu istituito immediatamente nel 166 e vi fu poi un cleiduco designato annualmente fra gli Ateniesi di alto rango. Se non ci fu propriamente una sacerdotessa di Iside, ogni anno però una giovane ateniese, scelta anch’ella fra le famiglie notabili, era nominata canefora. Inoltre, come si vedrà meglio più sotto, il santuario godeva anche degli uffici di un ὀνειροκρίτης “interprete dei sogni.” [20]
Le principali divinità egiziane venerate a Delo furono Serapide, la sposa Iside, Anubi e Arpocrate, figlio di Iside. Baslez [21] ha cercato di spiegare la presenza di dediche votive offerte ad altre divinità egiziane sostenendo che anche a Delo la devozione lagide di Serapide, diffusasi rapidamente in ambito alessandrino, fosse in qualche misura frammista a quella dell’antico pantheon faraonico, dominato da Osiride, Iside ed Horo, cui la popolazione di origine epicoria era rimasta legata. Verso la metà del II secolo troviamo in effetti, caso unico, un epicorio, Horo figlio di Horo, originario di Casio nei dintorni di Pelusio, offrire una dedica a Zeus Casio, a Theos megas e a Tachnepsis. [22] Secondo Baslez [23] l’offerente invoca la famiglia divina tradizionale—Osiride, Iside, Horo—sotto nomi volontariamente “barbari”: in effetti una dedica ateniese attesta l’assimilazione di Zeus Casio a Horo, allorché “Theos megas” è spesso impiegato come epiteto di Serapide, mentre Tachnepsis è un epiteto locale di Iside.
In questo quadro si collocherebbero anche le tre dediche ad Osiride [24] le quali offrono forse un contesto alla menzione di Iside taposiria, [25] un titolo che si rifà al luogo in cui Osiride fu sepolto. L’appellativo è attestato anche ad Atene, Cheronea e Fiesole ma solamente nel III sec. d.C. [26] Troviamo inoltre due dediche ad Ammone. [27]
Le principali divinità venerate, comunque, sono Serapide ed Iside; Arpocrate è venerato normalmente in testi più tardi. [28] Come spiega Bruneau, [29] Serapide mantiene la posizione principale: il Serapeo A è fondato grazie all’intervento di lui solo ed è il primo nominato nelle dediche. L’importanza di Iside è però pressoché uguale: l’aretalogia di Maiistas la dice “compagna, sposa” di Serapide (ἄλοχος, IG XI 4 1299, 85; si veda il contributo di Kahlil in questa Issue); ella possiede un proprio tempio nel santuario ufficiale ed è spesso la sola invocata nelle dediche. Il suo nome, come quello di Serapide, non manca mai nelle dediche collettive a Serapide, Iside, Anubi, Arpocrate.

I caratteri peculiari delle divinità egiziane

Vediamo ora più in dettaglio, anche attraverso la diretta lettura epigrafica, i caratteri peculiari delle divinità egiziane che paiono avere in qualche modo suscitato il favore dei devoti. Gli dèi egiziani sono essenzialmente σωτήροι “salvatori” ed ἐπήκοοι “esauditori” delle preghiere: [30]

Ἀρίστων Ἀρχελά/ου Τ[ύρι]ος ὑπὲρ ἑαυ/το[ῦ] κ[αὶ] τῆς γυναι/[κ]ὸς Σ[ω]σίδος, Σα/[ρ]ά̣πιδι, Ἴσιδι, Ἀνού[βι]/δι, Ἁρφοκράτει, θεοῖς ἐπηκόοις̣, [χα]/ριστήριον.
Aristone figlio di Archelao, tirio, per sé e la moglie Soside, a Serapide, Iside, Anubi, Arpocrate, dèi esauditori, in ringraziamento. (ID 2130; data indeterminata).

Iside ἐπήκοος riceve orecchie come ex-voto:

Διογένης / Διογένου Ἀντιο/χεὺς Ἴσιδι ἐπη/κόωι εὐχήν.
Diogene figlio di Diogene, antiocheno, a Iside esauditrice in voto. (ID 2173, data indeterminata [31] ).

Una seconda epigrafe [32] in cui Iside è invocata come ἐπήκοος è anche testimonianza di un aspetto del culto di queste divinità su cui altrimenti siamo assai poco informati, [33] il banchetto.

Ἴσιδι χρηστῆι ἐπηκόωι Σέλευκος Σωκράτου/ εὐχήν, κτλ.
A Iside propizia esauditrice, Seleuco figlio di Socrate, in voto, … (ID 2149, 1–2; 122/1 a.C.).

La stele su cui il testo è iscritto rappresenta una donna, probabilmente Iside stessa, ed un uomo distesi su un triclinio. Sotto la mensa, un personaggio più piccolo reca un recipiente. Bruneau spiega come questo motivo iconografico, così comune per i banchetti funebri nel mondo greco-romano, rivesta qui una funzione nel contesto liturgico egiziano.

Un’altra testimonianza più antica della rilevanza dei banchetti nel culto degli dèi egiziani ci viene dalla stessa aretalogia di Maiistas dove sono menzionati “i banchetti convocati dal dio” (IG XI 4 1299, 65: θεοκλήτους ἐπὶ δαῖτας) [34] che saranno possibili con la costruzione del santuario, il Serapeo A.
È un punto centrale per la diffusione di questi nuovi culti il fatto che le divinità egiziane intervengano abitualmente nelle vite degli esseri umani. Forniscono le loro indicazioni (προστάγματα) tramite visioni (καθ᾽ ὅραμα) nel sonno, come succede ad Apollonio II cui Serapide ordina in sogno di costruirgli un santuario. [35] L’interpretazione dei sogni è svolta talora da un ὀνειροκρίτης “discernitore di sogni” specializzato:

Σαράπιδ[ι, Ἴσιδι], / Ἀνούβ[ιδι], / Κόιντος Γαί[ου] / [κ]ατὰ πρόσταγ[μα], /
διὰ ὀνειροκρίτου / Μηνοδώρου / τοῦ Ἀγίου / [Ν]ικομηδέως, κτλ.
A Serapide, Iside, Anubi, Quinto figlio di Gaio, secondo l’indicazione, tramite il discernitore di sogni Menodoro figlio di Agio, nicomedio, … (ID 2106, 1–8; 98/7 a.C.?). [36]

Questa figura professionale sembra tipica dei culti egiziani delî. [37] In effetti, l’intera vicenda del culto di Serapide a Delo è fondata su numerosi sogni rivelatori ricevuti dai suoi sacerdoti, in particolare Apollonio II. [38]

Tali interventi degli dei egiziani nelle vite degli esseri umani si traducono talora in protezioni miracolose: [39] come relazionato dall’aretalogia di Maiistas, Apollonio II è salvato da un’accusa capitale:

θανάτου δὲ κακὰς ἀπὸ κῆρας ἐρῦξαι
[ti pregava] di trattenere le maligne Chere della morte (IG XI 4 1299, 74).

In questa occasione è il miracoloso intervento di Serapide che rende “incapace di proferir motto la lingua” (linea 87: γλῶσσαν ἀναύδητον) dei suoi nemici.

Anche il dedicatario Proto figlio di Pizione, da Kos,

σωθεὶς̣ / ἐκ πολλῶν καὶ μεγάλων κινδύνων κτλ.
… salvato da molti e grandi pericoli… (ID 2119, 1–2; data indeterminata)

è probabilmente un navigante scampato coi due figlioli, Filomena e Pizione, dalla furia del mare. Troviamo infatti le divinità egiziane associate una volta ai Dioscuri, secondo la tradizione ellenica protettori dei naviganti:

Σαράπ[ιδι], / Ἴσιδι, Ἀνούβιδι, Ἁρπ[ο]/χράτει, Διοσκούροις κτλ.
… a Serapide, a Iside, ad Anubi, ad Arpocrate, ai Dioscuri… (ID 2123, 4–6; 118/7 a.C.).

In modo simile, le troviamo associate a Zeus Urios:

ὑπὲρ τῶν πλοϊζομένων πάντων, / Διὶ Οὐρίωι, Σαράπιδι, Ἴσιδι, Ἀνούβιδι, Ἁρ- / φοκράτει θεοῖς συννάοις καὶ συμ/βώμοις κτλ.
per i naviganti tutti, a Zeus Urios, Serapide, Iside, Anubi, Arpocrate, agli <altri> dèi che condividono il tempio e gli altari… (ID 2128, 3–6; 105–103 a.C.). [40]

Iside in particolare è chiamata εὔπλοια “Euplea, che concede buona navigazione”:

Ἴσιδι Σωτείραι Ἀστάρτει Ἀφροδίτηι Εὐπλοίαι ἐπ[ηκόωι] κτλ.
A Iside Salvatrice Astarte Afrodite Euplea es[auditrice]… (ID 2132, 1; data indeterminata). [41]
Ἰσίδωρος Ἰσι/δώρου Ἀθηναῖ/ος Ἴσιδι Εὐπλοίᾳ, κτλ.
Isidoro figlio di Isidoro, ateniese, a Iside Euplea, … (ID 2153, 1–3; 107–103 a.C.).

Bruneau [42] ha dedicato numerosi studi all’individuazione delle rappresentazioni di Iside Pelagia; fra di esse una lucerna corinzia del II sec. d.C., rinvenuta proprio nel Serapeo C, attesterebbe una permanenza del culto di Iside in questo santuario in età imperiale inoltrata.

Nelle dediche votive di Delo dunque, Iside appare come ἐπήκοος, χρηστή ed εὔπλοια; la troviamo ancora come Iside Eufrosine:

κατὰ πρ̣ό̣σ[τα]/[γ]μα ἀνέ[θη]/[κ]εν Ἴσιδι Ε[ὐ]/φροσύνη[ι], κτλ.
secondo l’indicazione, offrì a Iside Eufrosine, … (ID 2107, 7–10; poco avanti l’88 a.C.).

L’enfasi sulla benevolenza isiaca appare tipicamente delia. Baslez [43] osserva come sottolineare la natura benefattrice della dea sia molto raro nel mondo greco-romano: nel Corpus isiaco, si conterebbero solamente nove dediche di questo tipo di cui ben cinque delie.

Iside è anche invocata come Igea, [44] in un’iscrizione del 112/1:

Σέλευκος Ἀνδρονίκου Ῥαμνούσιος, ἱερεὺς
γενόμενος, ὑπὲρ τοῦ δήμου τοῦ Ἀθηναίων καὶ
τοῦ δήμου τοῦ Ῥωμαίων Ἴσιδι Ὑγιε̣ία̣ι.
Seleuco figlio di Andronico, ramnusio, essendo divenuto sacerdote, a favore del popolo degli Ateniesi e del popolo dei Romani <dedica> a Iside Igea. (ID 2060)

È difficile giudicare se si trattasse di una semplice associazione o di un’identificazione vera e propria. [45] Igea è venerata nel Serapeo C anche assieme ad Asclepio, che, al più tardi nel II sec. d.C., troveremo identificato con Serapide ad Epidauro, congiuntamente ad Iside-Igea: [46]

Ἀσκληπι/οῦ καὶ Ὑγιείας / ․α̣τάλογος.
Di Asclepio e di Igea […] (ID 2386; data indeterminata)

Con Iside, anche Serapide e Anubi sono guaritori; in quanto tali ricevono degli ἰατρεῖα “onorari dovuti ai medici”; si noti ancora l’impiego del termine ἐπήκοοι:

Ξενότιμος Ξενοτ[ίμου κ]αὶ Νικασὼ Ἱπποκράτου Δήλιοι
ὑπὲρ τοῦ υἱοῦ Ξενοφῶντος ἰατρεῖα θεοῖς ἐπηκόοις Σαρά-
πιδι, Ἴσιδι, Ἀνούβιδι, χαριστήριον, κτλ.
Senotimo figlio di Senotimo e Nicasò figlia di Ippocrate, delî, per il figlio Senofonte, <offrono> onorari medici agli dèi esauditori Serapide, Iside, Anubi, in ringraziamento, … (ID 2116, 1–3; poco dopo il 166 a.C.).

Si noti che in una seconda dedica votiva presentata ancora da Nicasò di Delo, questa volta senza il consorte, gli ἰατρεῖα sono offerti anche ad Arpocrate:

Νικασὼ Ἱπποκράτου Δηλία θεοῖς ἐπηκόοις ἰατρεῖα
Σαράπιδι, Ἴσιδι, Ἀνούβιδι, Ἁρποχράτει, χαριστήρι-
ον, κτλ.
Nicasò figlia di Ippocrate, delia, agli dèi esauditori <offre> onorari medici a Serapide, Iside, Anubi, Arpocrate, in ringraziamento, … (ID 2117, 1–3; poco dopo il 166 a.C.)

Allo scopo di spiegare il loro successo tra i devoti è inoltre degno di menzione l’atteggiamento delle divinità nella protezione e cura dei bambini: più volte si incontra l’espressione ὑπὲρ τῶν παιδίων:

Σαράπιδι, Ἴσιδι, Ἀνούβιδι Ἄκεσις Ἀρχεβίου καὶ Σωτέχνα Σωγένου Πάριοι ὑπὲρ τῶν παιδίων εὐχήν.
A Serapide, a Iside, ad Anubi, Acesi figlio di Archebio e Sotecna figlia di Sogeno, parî, in voto per i figlioli. (IG XI 4, 1221; data indeterminata). [47]

Un altro tratto caratteristico di Iside e Serapide che può contribuire a spiegarne il successo tra i devoti è la loro pratica della giustizia. [48] Questa attitudine è già manifesta nel senso generale dell’aretalogia di Maiistas ed è specificata subito prima della narrazione del miracoloso intervento di Serapide di cui parlavamo sopra: [49]

ἀλλ’ ὁπότε χρόνος ἷξε δικασπόλος, ἔγρετο ναοῖς
πᾶσα πόλις καὶ πάντα πολυμμιγέω<ν> ἅμα φῦλα
ξείνων ὄφρα δίκης θεομήτιδος εἰσαΐοιεν.
Ma quando venne il tempo giustiziere si radunò ai templi tutta la città e tutte insieme le tribù di stranieri molto mischiati per udire la giustizia divinamente saggia. (IG XI 4, 1299, 81–83).

Questa δίκη θεομήτις “giustizia divinamente saggia” si contrappone alla δίκη ἀνεμώλιος “accusa ventosa, infondata” (IG XI 4, 1299, 67) degli avversari di Apollonio II. [50]

Anche una dedica votiva più tarda fa riferimento alla giustizia di Iside:

Ἀσκληπιάδης / Δικαίου / Ἀθηναῖος / Ἴσιδι Ἀφροδί/τῃ Δικαίᾳ, / ἐφ’ ἱερέως Δικαίου τοῦ ἀδελφοῦ.
Asclepiade figlio di Diceo, ateniese, a Iside Afrodite Dicea, quando era sacerdote il fratello Diceo. (ID 2158; 92/1 a.C.?).

Ritroviamo qui l’associazione di Iside ad Afrodite già notata sopra (cf. ID 2132) e riscontriamo la peculiare—per Afrodite—connotazione di Dicea, “la giusta.” Senza dubbio, la particolare devozione a tale carattere di Iside sarà stata ispirata anche da una tradizione specifica di questa famiglia ateniese testimoniata dal nome Diceo portato da alcuni membri. [51]

Infine, fra le ragioni della popolarità degli dèi egiziani si dovrà tenere conto che l’elemento servile non era “escluso dalla partecipazione al culto ufficiale.” [52] In particolare, Roussel [53] specifica che le liste dei sottoscrittori, nelle quali abbondano i contributi minimi di una o due dracme, evidenziano che gli elementi più umili della popolazione fornivano però un numero considerabile di aderenti.

Conclusioni

Le divinità egiziane dunque esaudiscono le preghiere dei loro devoti, intervengono nella loro vita quotidiana, li salvano, talvolta compiendo miracoli, curano e proteggono i loro bambini, tutelano la giustizia, si lasciano venerare anche dagli schiavi; Iside in modo particolare protegge i naviganti, è buona, benefattrice, salutare. Al contempo, osserviamo alcune divinità olimpiche, in particolare Era e Latona, ormai abbandonate dai fedeli, ricevere solamente il culto pubblico tradizionale. A Delo, dunque, nell’arco del II sec. a.C. si verifica un mutamento di sensibilità religiosa per cui l’individuo, lungi dall’essere in balìa dell’arbitrio della divinità, ottiene, tramite la devozione, protezione per sé e i suoi cari, salute, financo giustizia. La divinità viene venerata quindi in quanto il culto è mediatore di un interesse benefico da parte della divinità nei confronti del suo devoto.
Non sorprende che questa relazione tra devoto e divinità abbia conosciuto un così grande successo nei secoli successivi fino a costituire forse il più grande concorrente del cristianesimo primitivo, il quale in parte ne assunse elementi (iconografia di Iside con Horo, culto del Sole) e in misura forse maggiore ne soppresse (si pensi alla distruzione del Serapeo di Alessandria).

Bibliografia

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Footnotes

[ back ] 1. Cf. Roussel 1915–1916:19–32; Bruneau 1970:459–461; Bruneau-Ducat 1983:219–221.
[ back ] 2. L’iscrizione, con l’aretalogia del poeta Maiistas, è trattata diffusamente dal punto di vista cultuale e letterario in questo numero monografico da Antonella Palombi e Jacopo Khalil rispettivamente, ai cui contributi si fa riferimento per approfondimenti.
[ back ] 3. Cf. Bruneau 1973:135 e Bruneau-Ducat 1983:220.
[ back ] 4. Su chi fossero gli avversari di Apollonio II e da che intento fossero mossi cf. Engelmann 1975:44–47.
[ back ] 5. Cf. Roussel 1915–1916:245 e Bruneau 1970:461.
[ back ] 6. Cf. Engelmann 1975:1.
[ back ] 7. Cf. Bruneau 1970:465–466.
[ back ] 8. Cf. Roussel 1987:249.
[ back ] 9. Sul Serapeo B cf. Roussel 1915–1916:33–46, Bruneau 1970:461 e Bruneau-Ducat 1983:223.
[ back ] 10. Sul Serapeo C cf. Roussel 1915–16:47–67, Bruneau 1970:462–463 e Bruneau-Ducat 1983:227–229.
[ back ] 11. Su questo cf. anche Bruneau 1970:462.
[ back ] 12. Non conosciamo le ragioni dell’istituzione del culto ufficiale nel Serapeo C, ma secondo Roussel 1915–1916:249–250, 261–262, seguito da Bruneau 1970:461 fu certamente questa l’ottica ateniese dopo la conquista del 166.
[ back ] 13. Cf. Roussel 1915–1916:47, Roussel 1987:250, Bruneau 1970:462, 466 e Bruneau-Ducat 1983:228–229. D’altro canto, sulla scarsa qualità dei materiali impiegati per il Serapeo A cf. Roussel 1915–1916:29.
[ back ] 14. Cf. Roussel 1915–1916:273–274, Roussel 1987:251, Bruneau 1970:462, Baslez 1977:46 e Bruneau 1980.
[ back ] 15. Cf. Bruneau 1970:661–662.
[ back ] 16. Cf. Siebert 1968.
[ back ] 17. Cf. ID 1510, Roussel 1915–1916:249–250,261–262, Bruneau 1970:461 e Bruneau-Ducat:220.
[ back ] 18. Cf. Roussel 1915–1916:263, Bruneau 1970:461; diversamente Roussel 1987:250 che allude ad una parvenza d’abbandono.
[ back ] 19. Sui devoti si veda in dettaglio Roussel 1915–1916:280–284.
[ back ] 20. Cf. Roussel 1987:250–251 e, più dettagliatamente, Roussel 1915–1916:263–271.
[ back ] 21. Cf. Baslez 1977:35–36.
[ back ] 22. ID 2180, 2181. Cf. anche il commento di Roussel 1915–1916:94–97, 262.
[ back ] 23. Baslez 1977:36.
[ back ] 24. IG XI 4 1233, 2–3: Ὀσίρι- / δι, Ἴσιδι κτλ. (II sec. a.C.); IG XI 4 1248, 1: βασιλεῖ Ὀσείριδι κτλ. (a cavallo tra III e II sec. a.C.); ID 2052, 4: Ὀσίριδι κτλ. (data indeterminata).
[ back ] 25. ID 2064, 4–5: [Ἴ]σιδι Τα̣π̣οσ̣[ι]/ρ̣ιάδι̣ κτλ. (110/109 a.C.).
[ back ] 26. Cf. Baslez 1977:41.
[ back ] 27. IG XI 4 1265, 1: Ἄμμωνι κτλ. (II sec. a.C.); ID 2037, 5–6: Ἄμμωνι / χαριστήριον κτλ. (dopo l’88 a.C.).
[ back ] 28. Cf. Roussel 1915–1916:278, Bruneau 1970:463, Baslez 1977:44.
[ back ] 29. Cf. Bruneau 1970:463.
[ back ] 30. Cf. Roussel 1915–1916:289 e Bruneau 1970:463.
[ back ] 31. Se ne può vedere una riproduzione in Bruneau-Ducat 1983:228.
[ back ] 32. Roussel 1915–1916:140 si occupa dell’iscrizione e della stele conservata a Firenze, Palazzo Medici Riccardi. La provenienza delia e la datazione sono assicurate dal nome del sacerdote, Diocle figlio di Diocle (cf. Bruneau 1970:465). Si veda anche Vatin 1968:223–225 in cui Bruneau discute la stele come ex-voto riportandone un’immagine.
[ back ] 33. Cf. Bruneau 1970:465.
[ back ] 34. Cf. Roussel 1915–1916:29, 82, 285 ed Engelmann 1975:43–44.
[ back ] 35. Cf. Bruneau 1970:463–464.
[ back ] 36. Cf. anche ID 2105 e probabilmente ID 2110.
[ back ] 37. Cf. Engelmann 1975:3 e Roussel 1987:251. Angela Cinalli (lezioni dottorali 2021) specifica che si tratta di figure, uomini e donne, tipicamente delie di natura professionale.
[ back ] 38. Cf. IG XI 4 1299, 13–16; 25–26; 45–46; 49–51; 55–59; 75–77 e Engelmann 1975:2–3.
[ back ] 39. Cf. Roussel 1915–1916:289 e Bruneau 1970:464.
[ back ] 40. Cf. anche ID 2179 del 112/1 a.C. Per l’espressione θεοῖς συννάοις καὶ συμβώμοις cf. Roussel 1915–1916:273–274, 279–280, Bruneau:463 e Baslez 1977:46–47.
[ back ] 41. A questa iscrizione si richiama inoltre Baslez 1977:60 per supportare il carattere ormai eclettico di Iside qui associata alla greca Afrodite e alla cananaica Astarte.
[ back ] 42. Cf. Bruneau 1961; 1963; 1970:462n10, 463, 464; 1974. Cf. anche Baslez 1977:62 e Bruneau-Ducat 1983:70.
[ back ] 43. Cf. Baslez 1977:60–61.
[ back ] 44. Cf. Roussel 1915–1916:150, 290–291.
[ back ] 45. Cf. Roussel 1915–1916:150; cf. anche Baslez 1977:49–50 (su Zeus/Serapide e Apollo/Arpocrate; in particolare l’assimilazione di questi ultimi deve essere già in fase avanzata poiché a metà del II sec. a.C. “Apollo porta una volta il falcone”), 60–61 (su Iside) e Bruneau-Ducat 1983:40.
[ back ] 46. Cf. Roussel 1915–1916:150, 199.
[ back ] 47. Cf. anche ID 2119, parzialmente discussa sopra, ID 2121, ID 2126 e Roussel 1987:252.
[ back ] 48. Cf. i testi citati da Engelmann 1975:52–53.
[ back ] 49. Cf. Roussel 1915–1916:78, 82 e il commento di Engelmann 1975:52–53.
[ back ] 50. Cf. Engelmann 1975:47.
[ back ] 51. Cf. anche Baslez 1977:60.
[ back ] 52. Cf. Roussel 1915–1916:284
[ back ] 53. Cf. Roussel 1987:252.