0. Introduzione
1. Un peana a Dioniso, tra lirica corale e tragedia
1.1 Il Dioniso apollineo di Filodamo
Ζη[νὶ] γείνατο καλλίπαις Θυώνα·
πάντες δ’ [ἀθά]νατοι χόρευ-
σαν, πάντες δὲ βροτοὶ χ[άρεν
[σαῖσ’, ὦ Β]άκχιε, γένναις.
……………………
……………………
……………………
Ἄ̣ν, τότε βακχίαζε μὲν
χθὼ[ν……….] τε Κάδ-
μου Μινυᾶν τε κόλπ[ος Εὔ-
βο]ιά τε καλλίκαρπος,
Εὐοῖ ὦ ἰὸ [βακχ’ ὦ ἰὲ Παιά]ν·
πᾶσα δ’ ὑμνοβρύης χόρευ-
εν̣ [Δελφῶ]ν ἱερὰ μάκαιρα χώρα·
αὐτὸς δ’ ἀστερόεν δέμας
φαίνων Δελφίσι σὺν κόραι[ς
[Παρν]ασσοῦ πτύχας ἔστας.
Se si confrontano i versi di Filodamo con le Baccanti di Euripide, si nota subito l’assenza di riferimenti espliciti all’infelice sorte della madre di Dioniso, incenerita dalla folgore di Zeus, alla quale invece la celebre tragedia allude già nel prologo (2–3), per poi dedicarle uno spazio ancor più ampio nella parodo (88–103). Una differenza ancor più marcata è segnata dalla calorosissima manifestazione di gioia che Filodamo attribuisce agli abitanti di Tebe e delle regioni vicine: siamo agli antipodi del Dioniso delle Baccanti, che, tornato nella terra natia appositamente per punire i Tebani, scettici sulla sua origine divina e non ancora iniziati ai suoi riti (26–54), suscita nelle donne della città una fosca frenesia che, invece di limitarsi alle ben più serene forme di invasamento descritte da Filodamo, culmina nell’uccisione del principale oppositore del dio, il re Penteo (1030). [12]
Διὸς γάμοισι†,
κισσὸς ὃν περιστεφὴς
ἑλικτὸς εὐθὺς ἔτι βρέφος
χλοηφόροισιν ἔρνεσιν
κατασκίοισιν ὀλβίσας ἐνώτισεν,
βάκχιον χόρευμα παρθέ-
νοισι Θηβαΐαισι
καὶ γυναιξὶν εὐίοις.
Come in Filodamo, anche nelle Fenicie Dioniso viene alla luce in una situazione contrassegnata da gioia e armonia: il riferimento alla madre non implica alcun cenno alla sua incinerazione, né alla venuta al mondo del dio seguono manifestazioni di ostilità o di violenza. Tutto si risolve nel tripudio di una danza entusiasta, ispirata da un piccolo Dioniso già coronato del verde dell’edera. Ciò che appare ancor più significativo, questa caratterizzazione di Dioniso non può essere ritenuta una trovata estemporanea, ma pare profondamente radicata nel sistema di valori che informa tutta quanta la componente corale di questa tragedia.
1.2 Espedienti e stilemi tragici in Filodamo
- La forma attica dell’avverbio temporale ἀεί (60), che si distingue dallo ionico αἰεί e dal dorico αἰές. Va detto che ἀεί, se ci si può fidare della tradizione manoscritta, non è del tutto assente nella lirica corale, ma è sicuramente più raro di αἰεί (4 occorrenze a 26 nei tre grandi lirici Pindaro, Simonide e Bacchilide).
- Il sostantivo ἱκετεία (114: ἱκετείαις), le cui prime occorrenze rimontano al V secolo a.C. e che, in verità, non risulta attestato nel teatro, ma molto frequente in prosa. Il suo uso in luogo del meno attico ἱκεσία è raccomandato da Frinico Ecloga 3.
- L’indicativo contratto ‘γκυκλοῦ[νται (124), notevole anche per il fatto che il verbo ἐγκυκλόω non risulta attestato prima del teatro attico (Euripide, Aristofane). Una contrazione analoga potrebbe trovarsi in ἰκ[οῦ] (3), ma qui la lacuna cade proprio in corrispondenza delle lettere interessate, per cui non si può del tutto escludere che qui vi fosse, piuttosto, una forma non contratta del tipo ἰκέο, come in Pindaro Pitica 9.51 e Nemea 3.3.
Inoltre, si possono aggiungere alcune forme più genericamente ionico-attiche:
- La voce verbale χόρευ-/ εν̣ (19), che presenta il cosiddetto ‘ν efelcistico’, tratto tipico della morfologia ionico-attica. [34]
- Il vocalismo [ɛ:] in πα[νδ]ήμοις (114). Dell’aggettivo πάνδημος non sono note occorrenze prima di Sofocle e di Euripide.
- L’accusativo contratto ἀγή- / ρων (119), che compare già in Iliade 2.447, ma diventa particolarmente frequente nella tragedia (tre occorrenze in Euripide) e negli autori attici.
- L’infinito στῆσαι (139), attestato quattro volte in Euripide e una in Sofocle, e ben diverso dalla forma στᾶμεν, che invece compare in Pindaro Pitica 4.2.
Che in Filodamo figuri una componente attica, e tragica in particolare, risulta dunque oltremodo evidente.
1.3 Il Peana di Filodamo e la politica ateniese di quarto secolo a.C.
2. Il Peana di Aristonoo tra Delfi e lo ‘spettro’ di Atene
2.1 Aristonoo e l’arrivo di Apollo a Delfi
βουλαῖς Ζηνὸς ὑπειρόχου,
ἐπεὶ Παλλὰς ἔπεμψε Πυ-
θῶδ’, [ἰὴ] ἰὲ Παιάν,
πείσας Γαῖαν ἀνθοτρόφον
Θέμιν τ’ εὐπλόκαμον θεὰν
[αἰ]ὲν εὐλιβάνους ἕδρας
ἔχεις, ὢ ἰὲ Παιάν.
Il Peana di Aristonoo, dunque, non fa alcuna menzione del mostruoso essere anguiforme che Apollo avrebbe ucciso in prossimità del futuro santuario delfico. Tale episodio è invece narrato da un numero assai cospicuo di testimonianze antiche, tra loro anche vistosamente non concordi nei dettagli della narrazione. Fontenrose suddivide questa messe di fonti in cinque sottoinsiemi: [42]
- Versione A (Inno omerico 3): narra che il mostro era un essere femminile, ucciso da Apollo al momento dell’instaurazione del proprio culto.
- Versione B (Simonide fr. 26a Bergk (= 117 Poltera); [43] Pseudo-Apollodoro 1.4.1; Pausania Periegesi 10.6.5, 10.6.6; Eliano Varia Historia 3.1; Ovidio Metamorfosi 1.321, 1.438–451; etc.): narra che Apollo, venuto a Delfi, fu attaccato da un δράκων di nome Πύθων, che sorvegliava il preesistente santuario a nome di Gaia o Themis. Apollo lo uccise e assunse il controllo dell’area sacra.
- Versione C (Euripide Ifigenia in Tauride 1242–1282; Clearco di Soli fr. 64 Wehrli; etc.): narra che Latona, dopo aver partorito Apollo sull’isola di Delo, lo portò fra le sue braccia a Delfi, dove fu attaccata dal mostruoso Πύθων. A quel punto interveniva proprio il piccolo Apollo, che con le sue frecce uccideva il δράκων.
- Versione D (Lucano Farsaglia 5.79–81, Luciano Dialoghi marini 9 Macleod; Igino Favole 140; Macrobio 1–17.52; etc.): narra che il Pitone, su ordine di Era, aveva dato la caccia a Latona, incinta di Apollo. Lo stesso Apollo, desideroso di vendetta, si sarebbe poi recato a Delfi per uccidere il drago, riuscendo nel suo intento.
- Versione E (Eforo di Cuma fr. 31a–b Jacoby; Pausania il Periegeta 10.6.6–10.6.7): seguendo un’ispirazione di tipo razionalistico, quasi evemeristica, narra che gli abitanti di Delfi avrebbero richiesto ad Apollo di intervenire contro un pericoloso brigante (quindi un essere umano a tutti gli effetti!) chiamato Πύθων o Δράκων, che venne così ucciso dal dio.
Indubbiamente, le fonti che più si avvicinano alla narrazione del Peana di Aristonoo sono quelle del gruppo B: molte di queste, infatti, raccontano che, prima dell’arrivo di Apollo, l’oracolo delfico era già stato occupato da almeno un’altra divinità, Gaia e/o Themis, che sono proprio le dee citate dal poeta corinzio. In verità, il mito dei precedenti possessori (i “Previous Owners” [44] ) dell’oracolo compare in un insieme ancor più vasto di fonti, risalenti fino al V secolo a.C. Euripide, nell’ Ifigenia in Tauride (gruppo C) presenta Πύθων come guardiano del santuario per conto di Gaia, mentre in un’altra tragedia, l’ Oreste (163–164), qualifica il tripode di Delfi come τρίποδι Θέμιδος: Lucano (gruppo D) ambienta la vendetta di Apollo sul mostro al tempo di Themis (5.80: cum regna Themis tripodasque teneret ); Eforo, pur nella sua rilettura del mito in chiave storicista, non rinuncia alla figura di Themis, ma la qualifica come donna mortale che avrebbe collaborato con Apollo alla fondazione dell’oracolo delfico. Inoltre, al di fuori dei gruppi e degli autori citati, va menzionato il fr. 261 di Pindaro (ed. Bowra), dove non si fa alcun riferimento ad un δράκων (né ad una δράκαινα), ma si accenna comunque ad una violenta lotta per il possesso di Delfi, nella quale si sarebbero scontrati Apollo (uscitone vittorioso) e Gaia. [45] Infine, merita un cenno una delle versioni raccontate da Pausania (Periegesi 10.5.5), [46] nella quale Gaia è presentata come l’antica signora dell’oracolo delfico: come in Pindaro, anche qui non compare il mostro anguiforme, ma nondimeno ha luogo una (tentata) violenza, quella di Apollo ai danni di Dafnida, figlia di Gaia, che finisce per trasformarsi in alloro.
2.2 Aristonoo e le Eumenidi : affinità e divergenze
τὴν πρωτόμαντιν Γαῖαν· ἐκ δὲ τῆς Θέμιν,
ἣ δὴ τὸ μητρὸς δευτέρα τόδ’ ἕζετο
μαντεῖον, ὡς λόγος τις· ἐν δὲ τῷ τρίτῷ
λάχει, θελούσης, οὐδὲ πρὸς βίαν τινός,
Τιτανὶς ἄλλη παῖς Χθονὸς καθέζετο
Φοίβη, δίδωσιν δ’ ἣ γενέθλιον δόσιν
Φοίβῷ· τὸ Φοίβης δ’ ὄνομ’ ἔχει παρώνυμον.
λιπὼν δὲ λίμνην Δηλίαν τε χοιράδα,
κέλσας ἐπ’ ἀκτὰς ναυπόρους τὰς Παλλάδος,
ἐς τήνδε γαῖαν ἦλθε Παρνησοῦ θ’ ἕδρας.
πέμπουσι δ’ αὐτὸν καὶ σεβίζουσιν μέγα
κελευθοποιοὶ παῖδες Ἡφαίστου, χθόνα
ἀνήμερον τιθέντες ἡμερωμένην.
μολόντα δ’ αὐτὸν κάρτα τιμαλφεῖ λεὼς
Δελφός τε χώρας τῆσδε πρυμνήτης ἄναξ·
τέχνης δέ νιν Ζεὺς ἔνθεον κτίσας φρένα
ἵζει τέταρτον τοῖσδε μάντιν ἐν θρόνοις·
Διὸς προφήτης δ’ ἐστὶ Λοξίας πατρός.
τούτους ἐν εὐχαῖς φροιμιάζομαι θεούς.
Παλλὰς προναία δ’ ἐν λόγοις πρεσβεύεται.
σέβω δὲ νύμφας, ἔνθα Κωρυκὶς πέτρα
κοίλη, φίλορνις, δαιμόνων ἀναστροφή.
Βρόμιος ἔχει τὸν χῶρον, οὐδ’ ἀμνημονῶ,
ἐξ οὗτε Βάκχαις ἐστρατήγησεν θεὸς
λαγὼ δίκην Πενθεῖ καταρράψας μόρον.
Πλειστοῦ δὲ πηγὰς καὶ Ποσειδῶνος κράτος
καλοῦσα καὶ τέλειον ὕψιστον Δία,
ἔπειτα μάντις εἰς θρόνους καθιζάνω.
Già Weil, nella sua editio princeps del Peana di Aristonoo, sottolineava l’innegabile affinità dell’opera con il prologo delle Eumenidi. [47] In effetti, anche nella tragedia eschilea Apollo arriva nel santuario di Delfi quando esso è già esistente e il suo oracolo funzionante, ma senza che si faccia alcun riferimento esplicito ad un δράκων: anzi, la Machtergreifung di Apollo avviene in modo del tutto pacifico, in seguito ad un pacifico avvicendamento di divinità. Le dee, peraltro, sono le stesse (Gaia e Themis) citate da Aristonoo, quantunque in Eschilo ne compaia anche una terza, Febe. Le somiglianze, inoltre, si estendono anche alla preghiera che, nel prologo delle Eumenidi (20–29), segue alla cronistoria delle origini, integrandola con l’enumerazione degli altri dèi titolari di un culto a Delfi (seppur chiaramente in posizione subordinata ad Apollo). Molte delle divinità citate dalla Pizia, infatti, si ritrovano anche nelle due strofi del Peana di Aristonoo successive alla narrazione delle origini, nelle quali viene presentato un edificante resoconto dei doni e benefici che gli altri dèi concedono ad Apollo, lieto di contraccambiare.
αν ἐμ μαντείοις ἁ[γί]οις
σέβων ἀθανάτοις ἀμοι-
[β]αῖς, ἰὴ ἰὲ Παιάν,
χάριν παλαιᾶν χαρίτων
τᾶν τότ’ ἀϊδίους ἔχων
μνήμαις, ὑψίστα<ι>ς ἐφέπεις
τιμαῖς, ὢ ἰὲ Παιάν.
Δωροῦντ[αι] δέ σ’ ἀθάνατοι,
Ποσειδῶν ἁγνοῖς δαπέδοις,
Νύμφαι Κωρυκίοισιν ἄν-
τροις, ἰὴ ἰὲ Παιάν,
τριετέσιν φαναῖς Βρόμιος,
σεμνὰ δ’ Ἄρτεμις εὐπόνοις
κυνῶν ἐμ φυλακαῖς ἔχει
τόπους, ὢν ἰὲ Παιάν.
Atena, Posidone, le Ninfe dell’antro coricio, Dioniso e Artemide: ben quattro di queste cinque divinità (ovvero tutte tranne Artemide) figurano anche nella preghiera della Pizia. Inoltre, sia in Eschilo che in Aristonoo, Atena occupa la prima posizione nell’enumerazione, così come in entrambi i poeti Dioniso viene denominato con l’appellativo di Βρόμιος, che, peraltro, non risulta attestato prima dei tragediografi attici (Tespi fr. 4 Snell-Kannicht; Pratina fr. 3 Snell-Kannicht). Non stupisce dunque che un ampio numero di studiosi abbia individuato in Eschilo il modello dei versi 19–40 del Peana di Aristonoo. Questo orientamento critico è ben presente fin dai primi studi sull’inno: già ravvisabile, come detto, nell’ editio princeps di Weil, esso trova una formulazione ancor più compiuta nel quasi coevo commento di Crusius, secondo il quale questo Peana, a suo dire, opera dello stesso Aristonoo che Plutarco (Lisandro 18.5) ricorda come un citarodo adulatore di Lisandro, sarebbe “attisch nach Sprache und Verstechnik, nach Inhalt und Tendenz.” [48] Anche Furley e Bremer parlano di “many points of similarity with the Pythia’s devotional words to Delphi at the beginning of Aeschylus’ Eumenides ” [49] e suggeriscono l’equivalenza tra l’Atena che in Aristonoo apre la strada ad Apollo e gli Ateniesi κελευθοποιοί di Eschilo. [50]
2.3 La testimonianza di Pausania
Particolarmente significativa è la seconda parte del passo, ovvero quella successiva ai due esametri dell’ Eumolpia. La versione mitica che vi viene esposta è notevolmente vicina a quelle adottate da Eschilo e Aristonoo, ma in particolare a quella di quest’ultimo: sia nel Peana sia in Pausania, Apollo assume il controllo dell’oracolo di Delfi senza violenza, prendendo il posto prima ricoperto da due divinità (e non tre, come in Eschilo). Una piccola differenza consiste nel fatto che, in Aristonoo, Gaia e Themis sono rappresentate su un piano sincronico, mentre in Pausania, così come in Eschilo, si parla chiaramente di una successione di Themis a Gaia; resta però innegabile la forte affinità strutturale data dalla natura pacifica della dinamica di avvicendamento e dall’identico ricorrere degli attori.
In effetti, le fonti attestano una pluralità di circostanze nelle quali gli Ateniesi erano soliti inviare ambascerie (θεωρίαι) a Delfi: per le riunioni del concilio anfizionico, per le festività delfiche (Πύθια e Θεοξένια su tutte), e, soprattutto, la Pitaide, celebrata a intervalli di tempo discontinui a partire dal V secolo a.C., in seguito alla battaglia di Platea. [64] È molto probabile che Eschilo alludesse proprio a quest’ultima festività, in occasione della quale, stando alla documentazione epigrafica, Atene doveva inviare una ambasceria particolarmente nutrita, comprendente anche canefore, efebi ed esponenti di importanti γένη religiosi.
2.4 Eschilo, Aristonoo, la tragedia: un bilancio complessivo
- L’ exordium dell’ Inno a Vesta, nel quale la dea dedicataria del componimento danza presso l’ombelico della Terra accanto al tripode oracolare (2–6: Ἑστίαν ὑμνήσομεν, ἃ καὶ Ὄλυμπον / καὶ μυχὸν γαίας μεσόμφαλον ἀεὶ / Πυθίαν τε δάφναν κατέχουσα / ναὸν ἀν’ ὑψίπυλον Φοίβου χορεύεις / τερπομένα τριπόδων θεσπίσμασι), appare molto vicino a due passi dello Ione di Euripide: nel primo (461–464) Apollo viene presentato con gli stessi identici attributi, ovvero l’occupazione del centro della Terra, la danza e il tripode oracolare (Φοιβήιος ἔνθα γᾶς / μεσόμφαλος ἑστία / παρὰ χορευομένωι τρίποδι / μαντεύματα κραίνει), nel secondo (223) compare il verbo κατέχω (impiegato nella medesima accezione del κατέχουσα di Aristonoo), nuovamente associato con Apollo e il centro della terra (ἆρ’ ὄντως μέσον ὀμφαλὸν / γᾶς Φοίβου κατέχει δόμος;). La prossimità dei due passi è notevole, in particolare quella del primo, che Furley e Bremer ritengono antecedente diretto dei versi di Aristonoo. [70]
- Sempre nell’ Inno a Vesta, il poeta chiede alla dea che la comunità possa danzare, felice, attorno al suo altare (16–17: λιπαρόθρονον / ἀμφὶ σὰν θυμέλαν). Come sottolineato anche da Furley e Bremer, [71] l’espressione sembra ricalcare Eumenidi 806 (λιπαροθρόνοισιν ἡμένας ἐπ’ ἐσχάραις), che è peraltro l’unico locus di età classica nel quale compare con certezza il rarissimo aggettivo λιπαρόθρονος, per poi tornare solo in Teocrito (Idillio 2.192) e in un frammento lirico adespoto citato da Stobeo (Anthologium 1.5.12).
Si potrebbe obiettare che, come si è sostenuto nel caso del prologo delle Eumenidi, anche dietro a questi paralleli possano celarsi fonti comuni. In effetti, questa eventualità non può essere del tutto ignorata. Tuttavia, che la tragedia attica abbia influenzato gli inni di Aristonoo è garantito da un altro elemento, ovvero la presenza di forme ionico-attiche o tipicamente attiche ben attestate nei tragici:
- Nell’ Inno a Vesta (8) la congiunzione [ὁπ]ηνίκα è foneticamente ionico-attica; l’esito atteso in dorico, infatti, sarebbe ὁπανίκα come in Teocrito Idillio 23.33, Cercida fr. 5 Powell e Anthologia Graeca 9.584.5. Le prime attestazioni di [ὁπ]ηνίκα, peraltro, compaiono in Tucidide (Storie 4.125.1) e, soprattutto, proprio nel teatro classico (Sofocle Filottete 464, Edipo a Colono 434; Aristofane fr. 618 Kassel-Austin).
- Nell’ Inno a Vesta (15) e nel Peana ad Apollo (48) compare, come accusativo del pronome di prima persona plurale, la forma ionico-attica ἡμᾶς, invece del dorico ἁμέ.
- Nel Peana ad Apollo (31) si ha la forma ionico-attica μνήμαις in luogo dell’atteso μνάμαις.
- Nel Peana ad Apollo (33), la forma Δωροῦντ[αι] mostra la contrazione -έονται > -οῦνται, che non è attestata nei grandi lirici corali [72] ed è invece tipicamente attica. Per di più, il verbo δωρέω, pur attestato già in Omero e nei lirici, sembra diventare particolarmente frequente nei tragici, e proprio in Sofocle Elettra 1383 si legge il sintagma δωροῦνται θεοί, davvero molto vicino al Δωροῦντ[αι] δέ σ’ ἀθάνατοι di Aristonoo. [73]
Si può dunque concludere che Aristonoo, autore di area locrese, adottava consapevolmente una κοινή lirica che, per via del sempre più riconosciuto prestigio del teatro ateniese, inglobava anche elementi attici. Di conseguenza, sorge forte la tentazione di postulare che Aristonoo abbia tenuto conto del prologo delle Eumenidi, tanto più se, come d’altronde l’assenza di ogni connotazione filoateniese nel Peana di Aristonoo sembra indicare, è corretta l’interpretazione di Vamvouri Ruffy per la quale l’inno sarebbe stato commissionato proprio in occasione della costruzione dell’oploteca di Atena Pronaia. Siccome le Eumenidi attribuivano primaria importanza a tale divinità e molto probabilmente erano ben note ad Aristonoo, non sarebbe assurdo ipotizzare che il poeta di Corinto abbia assunto il prologo dell’opera come modello, preoccupandosi però di riallinearlo all’ortodossia delfica con la rimozione degli elementi innovativi introdotti da Eschilo e dei tratti più smaccatamente filoateniesi.
3. Il Peana di Limenio e l’esaltazione di Atene al tempo dei τεχνίται
3.1 Atene, ancora una volta tra Delo e Delfi
δικόρυφον κλειτύν, ὕμνων κα̣[τάρ]χ[ετε δ’ ἐμῶν,]
Πιερίδες αἳ νιφοβόλους πέτρας ναίεθ̣’ [Ἑλι]κωνίδ̣[ας·]
μέλπετε δὲ Πύθιον χ[ρ]υ̣σεοχαίταν ἕ[κα]τ̣ον εὐλύραν
Φοῖβον, ὃν ἔτικτε Λα̣τὼ μάκαιρα πα[ρὰ λίμναι] κ̣λυτᾶι
χερσὶ γλαυκᾶς ἐλαίας θιγοῦσ̣’ [ὄζον ἐν ἀγωνίαι]ς ἐριθα[λῆ.]
Πᾶ[ς δὲ γ]άθησε πόλος οὐράνιος [ἀννέφελος ἀγλαός·]
ν̣ηνέμους δ’ ἔσχεν αἰθὴρ ἀε̣[λλῶν ταχυπετ]εῖς [δρ]ό̣μους, λῆξε δὲ βα-
ρύβρομον Νη[ρέως ζαμενὲς ο]ἶδμ’ ἠδὲ μέγας Ὠκεανός,
ὃς πέριξ γ[ᾶν ὑγραῖς ἀγ]κάλαις ἀμπέχει.
Τότε λιπὼν Κυνθίαν νᾶσον ἐπ̣[έβα θεὸ]ς πρω[τό]καρ-
πον κλυτὰν Ἀτθίδ’ ἐπὶ γα[λόφωι πρῶνι] Τριτωνίδος· […].
Lo scalo ateniese di Apollo ricordato alla fine della seconda strofa impone, come nel caso di Aristonoo, un confronto con il prologo delle Eumenidi di Eschilo. In effetti l’itinerario tracciato dai due poeti è identico (Delo-Atene-Delfi); piuttosto simili, poi, risultano le movenze del verso 11 dell’inno (Τότε λιπὼν Κυνθίαν νᾶσον) rispetto al verso 9 della tragedia eschilea (λιπὼν δὲ λίμνην Δηλίαν τε χοιράδα), così come un altro punto di contatto è rappresentato dal fatto che entrambi i poeti, per designare l’Attica, ricorrono a perifrasi imperniate su Atena (ἐπὶ γα[λόφωι πρῶνι] Τριτωνίδος in Limenio [14], ἐπ’ ἀκτὰς ναυπόρους τὰς Παλλάδος in Eschilo [12]). [79] Per quanto, come si è detto per Aristonoo, il passaggio ateniese di Apollo non sia necessariamente una innovazione eschilea (vd. supra, 2.3), è sicuramente possibile che qui si assista ad una ripresa consapevole delle Eumenidi. Va comunque sottolineato che, in questo Peana, il racconto del seguito del viaggio di Apollo verso Delfi, particolarmente significativo nell’architettura compositiva del prologo eschileo, è sostanzialmente omesso, rimpiazzato da un αἴτιον a sfondo musicale che riconduce l’origine del peana all’armonia che risuonò per la terra attica all’arrivo del dio (13–18). La vivida e dinamica immagine dei κελευθοποιοί ateniesi che domano una terra finora selvaggia, non scevra di connessioni con l’ideologia imperialistica, sembra cedere il passo ad una più distesa esaltazione della primazia culturale della città, sicuramente più confacente al mutato contesto politico dell’età ellenistica.
3.2 Il ramo d’ulivo: un simbolo complesso
θρήνους, ἄπτερος ὄρνις,
ποθοῦσ’ Ἑλλάνων ἀγόρους,
ποθοῦσ’ Ἄρτεμιν λοχίαν,
ἃ παρὰ Κύνθιον ὄχθον οἰ-
κεῖ φοίνικά θ’ ἁβροκόμαν
δάφναν τ’ εὐερνέα καὶ
γλαυκᾶς θαλλὸν ἱερὸν ἐλαί-
ας, Λατοῦς ὠδῖνι φίλον,
λίμναν θ’ εἱλίσσουσαν ὕδωρ
κύκλιον, ἔνθα κύκνος μελωι-
δὸς Μούσας θεραπεύει.
Entrambe le narrazioni, per quanto non perfettamente collimanti, accordano ai rami di ulivo un ruolo particolarmente significativo. Mi sembra alquanto improbabile che l’assurgere dei κλάδοι ἐλαίας a componente integrante del mito di Teseo possa essere meramente ricondotta al citato locus dell’ Ifigenia in Tauride, dove l’ulivo compare, peraltro come buon ultimo, insieme a palma ed alloro. Il passo euripideo, per di più, è modulato sui toni del rimpianto e della nostalgia; l’invenzione, dunque, sembra aliena alla logica e agli intenti comunicativi di questo corale, che anzi, per poter essere efficace nel veicolare un sentimento di dolorosa Sehnsucht, avrà piuttosto fatto leva sul patrimonio mitico tradizionale. Si consideri poi che, mentre da una parte Euripide non può certo essere considerato il più fervente cantore dell’imperialismo ateniese, dall’altra è nota una tradizione, volta a legittimare la dominazione ateniese sulle isole egee, che collegava Atena, Latona e l’isola di Delo. A tramandarla è un frammento del Deliaco di Iperide, un’orazione perduta nella quale, di fronte alla corte di Delfi, si intendeva mostrare la fondatezza del controllo ateniese dinanzi alle rivendicazioni autonomistiche dei Deli. [88]
In definitiva, dunque, credo che esistano fondati motivi per dubitare che Euripide, nell’ Ifigenia in Tauride, abbia inventato l’associazione dell’ulivo con Delo e il parto di Latona. Anche in questo caso, è senz’altro plausibile che un ruolo significativo sia stato giocato dalle θεωρίαι ateniesi a Delo (vd. supra, 2.3), nel contesto delle quali potrebbe essere avvenuta un’appropriazione simbolica dell’ulivo collocato nei pressi del σῆμα delle vergini iperboree, probabilmente già oggetto di più antiche attenzioni cultuali. Un indizio significativo in questo senso viene fornito da Platone (Fedone 58a–b), dal quale apprendiamo che gli Ateniesi mandavano ogni anno una ambasceria a Delo per adempiere al voto fatto da Teseo e dai quattordici ragazzi mandati a Creta insieme a lui (τῷ οὖν Ἀπόλλωνι ηὔξαντο ὡς λέγεται τότε, εἰ σωθεῖεν, ἑκάστου ἔτους θεωρίαν ἀπάξειν εἰς Δῆλον· ἣν δὴ ἀεὶ καὶ νῦν ἔτι ἐξ ἐκείνου κατ’ ἐνιαυτὸν τῷ θεῷ πέμπουσιν). Come si è visto, le tradizioni ateniesi relative al ramo d’ulivo si ricollegavano proprio alla figura del giovane Teseo inviato a Creta; la versione ricordata da Eustazio, per di più, presentava il ramo d’ulivo proprio come un dono votivo che Teseo avrebbe reso ad Apollo in caso di esito favorevole della spedizione. L’analogia tra ramo d’ulivo e missione ateniese in terra straniera, dunque, appare oltremodo patente, nonché profondamente radicata nella tradizione civica ateniese.